BERNARDI
Il titolo della mostra, Mimmo Rotella Manifesto. La cura è di Germano Celant, affiancato da Antonella Soldaini. È visitabile presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma fino al 10 febbraio. Si tratta della piu completa ricognizione scientifica sulla produzione di Rotella (Catanzaro 1918, Milano 2006), e fa parte delle iniziative promosse dalla Fondazione Mimmo Rotella e dal Mimmo Rotella Institute, con il supporto della Regione Calabria, per il centenario dalla sua nascita.
Il Salone Centrale della GNAM, destinato alle mostre temporanee e dunque anche a quella dedicata a Rotella, non ha di per sé le dimensioni sufficienti per accogliere il numero di opere necessario a una retrospettiva. Desiderando invece presentare la massima quantità di opere realizzate da Rotella dal 1953 al 2000 per permettere una visione a 360 gradi del suo operato, è stato quindi necessario concepire uno specifico allestimento, molto diverso da quelli tradizionali.
L’allestimento pensato per l’occasione evoca infatti una sorta di «diorama» atto a permettere una visione immediata e allargata delle oltre 160 opere esposte. Deriva dall’interpretazione dello spazio del Salone Centrale in relazione al principale media utilizzato da Rotella nelle sue opere: il manifesto pubblicitario. Il Salone Centrale è pensato come una vasta piazza circondata da facciate di edifici tappezzate con sei grandi cartelloni (o billboards), dal formato di 3 x 10 metri ca., definiti «insiemi-manifesto». Ciascun «insieme-manifesto» include un nucleo di opere esemplificative delle principali tecniche che nell’arco di oltre cinquant’anni l’artista ha sperimentato per rielaborare il poster pubblicitario.
Il primo «insieme-manifesto» comprende un assemblage del 1953 e quarantasette décollages realizzati tra il 1954 e il 1963, nei quali Rotella mostra il recto dei manifesti prelevati dalla strada, nei quali compaiono lettere, parole, prodotti di consumo. Del secondo «insieme-manifesto» fanno invece parte quarantanove retro d’affiches (1953-’61) nei quali l’artista sfrutta l’aspetto astratto e materico dei manifesti, mostrandone il verso quasi monocromo, con tutta la sua potenza visiva ed evocativa. Si passa poi al periodo in cui egli esplora procedimenti fotomeccanici di produzione seriale attraverso i venti riporti fotografici (1963-’80) e i nove Artypos (1966-’74) che costituiscono il terzo «insieme-manifesto». Se negli Artypos Rotella sceglie manifesti recuperati dalle tipografie – sono quelli utilizzati per tarare le macchine e destinati al macero –, nei riporti fotografici adopera immagini già utilizzate nel campo della comunicazione e dell’editoria, proiettandole su una tela emulsionata e azzerando il coinvolgimento emotivo anche grazie alla riduzione dei colori.
Da qui i dieci Blanks (1980-’82) inclusi nel quarto «insieme-manifesto», ciascuno dei quali è costituito da una velina che copre l’immagine dell’ultimo di una serie di poster incollati l’uno sull’altro. Attraverso l’omissione dell’immagine Rotella sottopone per la prima volta a un’analisi critica i contenuti dei manifesti pubblicitari, per poi tornare invece alla pittura in opere quali l’acrilico del 1984 e le sette sovrapitture (1988-’95) che costituiscono il quinto «insieme-manifesto».
L’ultimo gruppo di opere comprende invece due nuove icone (1992) e dodici décollages tardi (1992-2004): lavori su tela, o più sovente declinati su lamiera metallica, ma tutti in dimensioni monumentali (fino a 150 x 300 cm) che dimostrano quanto Rotella sia stato capace di mantenere una grande forza espressiva fino agli ultimi anni della sua vita.
L’originale allestimento in cui le opere sono disposte in modo da «ricomporre» sei grandi manifesti, fa sì che il museo, da spazio chiuso destinato alla fruizione di opere presentate auraticamente in singole sezioni di pareti, diventi contesto cittadino capace di integrare in sé, senza alcuna gerarchia, ogni elemento in esso visibile.
Permettendo inoltre una panoramica totale e sincronica del suo operato, la mostra indica come Rotella non sia soltanto l’artista del décollage – per il quale è noto ai più –, ma sia un autore poliedrico nella tecnica, nei media, e nei contenuti da essi sottesi.
Dimostrano altrettanto le sei grandi bacheche che, organizzate in ordine cronologico all’interno del «salone-piazza», accolgono testimonianze, documenti, ma anche un effaçage, disegni, piccole opere pittoriche, fotografie, cataloghi e lettere capaci di porre le vicende dell’artista in relazione con un contesto politico, culturale e artistico coevo.
Infine, all’esterno del «salone-piazza», due ulteriori ma più piccole piazze, testimoniano ulteriori due aspetti della sua attività: l’una include una sezione di film e documentari (1954-2004) di cui egli è protagonista; l’altra raggruppa i dieci «ritratti» scultorei dei Replicanti (1990), simbolo di un’umanità priva di sentimenti, ridotta a replicante di se stessa.
Dopo aver visitato l’esposizione e dopo aver letto l’ampio catalogo edito da Silvana Editoriale (a cura di Germano Celant con Antonella Soldaini), risulta evidente come Rotella sia stato un artista che, dopo aver utilizzato il manifesto come pura materia – secondo l’insegnamento di Burri –, ne abbia scoperto l’immagine quale veicolo di significato/comunicazione di massa e abbia pertanto iniziato a interessarsi anche a media differenti – dalla fotografia al film, dalla riproduzione meccanica alla scultura – per indagarli con uno sguardo mai moralista ma ironico sulla realtà coeva, e con un’attitudine tipicamente europea di amore e odio nei confronti della comunicazione. Per Rotella il manifesto rimarrà sempre simbolo di una specifica condizione del vivere e lo strappo costituirà sempre un gesto critico atto a dimostrare quanto la comunicazione veicolata dal manifesto strappato sia riflesso del nostro esistere nel mondo.