Quattro siriani, un tunisino e un palestinese. Sei prigionieri di Guantanamo sono in Uruguay da domenica scorsa come rifugiati. Hanno vissuto nel campo di concentramento statunitense da dodici anni, dal 2002. Una prigione di «Massima sicurezza» – a solo un anno dall’attentato alle Torri gemelle per il quale scattò la guerra di vendetta all’Afghanistan – aperta l’11 gennaio di quell’anno dall’amministrazione Bush all’interno della base navale che si trova sull’isola di Cuba, finalizzata a rinchiudere i «combattenti nemici» catturati in Afghanistan e sospettati di attività eversive.

I sei sono stati arrestati come appartenenti alla galassia di al-Qaeda, ma non hanno subìto condanne: «Liberabili perché non ad alto rischio», questo ora il responso sui sei prigionieri secondo le agenzie di intelligence Usa. Per i primi tempi, il governo uruguayano darà loro sostegno economico e li aiuterà a trovare una casa e un lavoro. Ora sono ricoverati in ospedale a causa delle cattive condizioni di salute, dovute ai maltrattamenti e anche al lungo sciopero della fame intrapreso nel campo di prigionia.

Ora, l’Uruguay è il primo paese sudamericano, e il secondo in tutta l’America latina, ad aver accolto prigionieri di Guantanamo, dopo la promessa di Obama di chiudere la prigione di Massima sicurezza (ma non la base militare), una promessa mai realizzata. Nel 2012, il Salvador ha ospitato per quasi due anni due musulmani cinesi di etnia uigura, provenienti da Guantanamo. In Uruguay vi sono attualmente tra i 250 e i 300 rifugiati, in maggioranza provenienti dalla Colombia. Secondo un’inchiesta dell’istituto Cifra, il 58% dei cittadini si dichiara contrario a ospitare i detenuti di Guantanamo, mentre il 40% ritiene che la decisione spetti al Parlamento e non al presidente. «Non siamo una succursale di Guantanamo», ha dichiarato Alberto Heber, senatore del Partido Nacional. L’ex tupamaro presidente Pepe Mujica, che a breve passerà il testimone al vincitore delle ultime presidenziali, Tabaré Vazquez, ha annunciato la decisione «umanitaria» nel marzo scorso.

E venerdì ha indirizzato una lettera a Barack Obama e al popolo uruguayano. Ha ricordato che il paese è diventato quel che è oggi anche per aver dato asilo «agli anarchici perseguitati ed espulsi da altri paesi che li consideravano terribili terroristi» e ha ribadito la vocazione umanitaria del suo paese, sancita dalla Costituzione: «Abbiamo offerto ospitalità ad alcuni esseri umani che subivano un atroce sequestro a Guantanamo», ha affermato, precisando nuovamente che, avendo conosciuto cosa significa stare dietro le sbarre per 14 anni, non avrebbe imposto la galera ai rifugiati: «Per me – ha detto – se vogliono, possono andarsene anche da domani».

Col linguaggio diretto che lo caratterizza, Mujica ha poi precisato: «Abbiamo aiutato Obama a chiudere la vergogna di Guantanamo non perché l’imperialismo yankee sia diventato improvvisamente nostro amico, né in cambio di denaro o vantaggi. Tuttavia – ha aggiunto – non lo abbiamo fatto per niente. In contropartita, chiediamo la fine dell’ingiusto e ingiustificabile blocco contro la nostra repubblica sorella di Cuba, la liberazione dei tre patrioti cubani prigionieri negli Usa da 16 anni e quella di Oscar Lopez Rivera, il settantenne combattente indipendentista portoricano, prigioniero negli Stati uniti da oltre un trentennio».

Anche uno dei rifugiati, il trentanovenne siriano Abdelhadi Omar Faraj, fino a ieri il prigioniero 329 di Guantanamo, ha indirizzato una lettera di ringraziamento a Mujica e «al popolo uruguayano» anche a nome degli altri ex detenuti: per spiegare la sua storia e le traversie che lo hanno condotto nel campo di concentramento, l’ultima delle quali quella di essere venduto dai soldati pachistani agli Stati uniti, dietro ricompensa. Tra i prigionieri, c’è anche Mustafa Diyab, che ha denunciato le autorità Usa per aver alimentato a forza i prigionieri di Guantanamo durante il loro lungo sciopero della fame.