La notizia arriva insieme alle perquisizioni della Guardia di finanza alle società interessate e ai recapiti di cinque persone coinvolte nell’inchiesta: Beppe Grillo è indagato per «traffico di influenze illecite» dalla procura di Milano.

Al clamore si aggiunge un elemento simbolico (e sostanziale) non da poco: l’indagine trae in parte origine dal fascicolo aperto a Firenze sui finanziamenti alla fondazione Open legata a Matteo Renzi, contro il quale da tempo il Movimento 5 Stelle rivendica la necessità di una legge che disciplini l’attività di lobbying. In cambio di 240 mila euro ricevuti dal 2018 al 2020, è l’ipotesi dei magistrati, Grillo avrebbe trasmesso ai parlamentari del M5S le richieste di Vincenzo Onorato, fondatore della compagnia di navigazione Moby, al fine di garantire decisioni «favorevole agli interessi» dell’azienda in crisi.

Dalle difficoltà finanziarie di Moby deriva l’altra parte dell’indagine, quella milanese. Che è stata aperta proprio in seguito al fallimento della compagnia. Scandagliando i bilanci dell’azienda, gli inquirenti hanno incontrato delle spese sospette a beneficio della società che gestisce il sito beppegrillo.it e verso la Casaleggio associati. La procura avrebbe in mano alcune chat in cui l’armatore «ha richiesto a Grillo una serie di interventi in favore di Moby che Grillo ha veicolato a esponenti politici» inoltrando poi a Onorato le risposte ottenute dai parlamentari M5S. Circostanza che potrebbe aprire uno squarcio ancora inedito sulla vicenda: si tratterebbe di capire chi sono gli eletti del Movimento 5 Stelle che hanno prestato il fianco ad un’operazione simile. Ieri il senatore Danilo Toninelli, che nel biennio finito all’attenzione dei giudici era proprio ministro dei trasporti, ha preso le difese di Grillo. «Come fai a non avere fiducia in uno che da quando è entrato in politica ha perso soldi? Gli altri hanno usato la politica per arricchirsi, lui no», assicura Toninelli. «Da quando il M5S è in parlamento, Grillo non ha mai messo bocca neanche su mezzo emendamento, né su nessun altro passaggio dei lavori in commissione», giurano i senatori del M5S che siedono in commissione lavori pubblici.

Nel capo di imputazione si legge che il pm Cristiana Roveda e l’aggiunto Maurizio Romanelli hanno ritenuto «illecita la mediazione operata» da Grillo sulla base sia «dell’entità degli importi versati o promessi» da Onorato, sia della «genericità delle cause dei contratti», sia «delle relazioni effettivamente esistenti ed utilizzate… su espresse richieste» dell’armatore «nell’interesse del gruppo Moby». «Attendiamo di leggere tutti gli atti, ma bisogna tener presente che Onorato e Grillo sono amici da almeno 45 anni, quindi facilmente qualcosa potrebbe essere stato equivocato», commenta Pasquale Pantano, difensore di Onorato.

Secondo il decreto di perquisizione, Grillo ha avuto 120 mila euro nel 2018 e nel 2019 «apparentemente come corrispettivo» per diffondere «su canali virtuali», come il sito beppegrillo.it, contenuti redazionali per il marchio Moby. Fino ad allora il sito di Beppe Grillo era di fatto l’organo ufficiale del M5S: indiceva le consultazioni online e dettava la linea. Proprio dal 2018 Grillo aveva deciso di separare il suo blog dalle strette dinamiche dei 5 Stelle.

Nelle carte dei giudici milanesi figura anche un contratto tra Moby spa e la Casaleggio associati. Prevedeva il versamento di 600 mila euro nel triennio 2018-2020, per la stesura di un piano strategico e la campagna pubblicitaria «Io navigo italiano». Ma Davide Casaleggio al momento non sarebbe indagato.

Tutto questo come influenzerà il M5S nei giorni caldi della partita per il Quirinale? Di certo aumenta la responsabilità che grava sulle spalle di Giuseppe Conte. Se le disavventure di Grillo rendono meno probabile una sua discesa in campo in vista della scelta del presidente della Repubblica, magari di sponda con qualcuno di big, il nuovo leader non ha più alibi nella ricerca di una strada che rassicuri i grandi elettori del M5S e li conduca definitivamente fino al «nuovo corso» più volte annunciato.