Può capitare che siate invitati da amici in una casa dalla lunga e bizzarra storia, in uno di quei paesi d’alta montagna dove si cerca ristoro e riparo tra luglio e agosto, ai freschi come si diceva un tempo, e accanto ad architetture curiose e da poco restaurate potete perdervi gioiosamente tra le diverse essenze di un giardino che vegeta da oltre un secolo. E magari vi appoggiate a una colonna vivente alta una trentina di metri e dal fusto colonnare, colossale, senza neanche farci caso, fino a quando l’occhio reclamerà l’adeguata attenzione: così, vi renderete conto che quei due frassini potrebbero benissimo essere inseriti, prima o poi, nell’elenco degli alberi monumento del nostro Belpaese.
I proprietari, poiché così alti e così vicino alla loro nuova abitazione, li hanno fatti studiare, scoprendo che sono due frassini (Fraxinus excelsior), giocosamente ribattezzati «frassinodonti», stimati tra i 150 e i 200 anni, con circonferenze dei tronchi pari a 305 e 364 cm, come si dice a petto d’uomo, a 130 cm dalla base; altezza delle cime: 33 mt. Il comune è Usseglio, in provincia di Torino, la residenza Villa Cibrario.

L’ITALIA È UN PAESE che può ancora riservare molte sorprese. Alcune arrivano ad esempio dai sottosuoli, con la scoperta di tesori di epoche passate che ogni tanto vengono dissepolte dopo secoli, o millenni. Altre arrivano dai ghiacciai che si ritirano e mortificano, riportando alla luce, corpi o resti di guerre mai dimenticate. Ci sono oggetti di varia fattura che sbucano sotto le strade, a ricordarci com’era quel pezzo di mondo una o due civiltà passate, e ci sono anche alberi che vivono tra noi da cento, duecento, o più anni e vengono scoperti, o meglio consegnati al patrimonio del bene pubblico diventando veri e propri monumenti (naturali) protetti, la dizione burocratica esatta è «albero monumentale».
In Italia abbiamo esemplari, ad oggi documentati, che si avvicinano ai tremila e ai quattromila anni, come alcune vere e proprie star dei nostri cammini e dei nostri paesaggi agresti, e si pensi al celeberrimo castagno dei cento cavalli sulle pendici dell’Etna, agli olivastri millenari di Luras, in Sardegna, e millenari, come gli ulivi della piana di Ostuni, in Salento, alcuni larici che punteggiano le cime alpine tra Lombardia e Alto Adige.

CIRCA QUARANT’ANNI FA venivano scritte le prime leggi regionali che prevedevano la difesa di alcuni alberi di eccezionale dimensione ed età. Il Corpo forestale dello Stato, prima della rimodulazione che l’ha traslato in parte all’interno dell’Arma dei carabinieri, stilò i primi elenchi regione per regione, dedicati ai grandi alberi d’Italia, un primo abbozzo di qualcosa che è cresciuto costantemente nel tempo fino all’odierno aggiornamento da parte di esperti del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, che proprio in questi giorni, ha aggiornato l’elenco degli Ami (Alberi monumentali d’Italia), superando la soglia dei quattromila siti e/o esemplari riconosciuti (un incremento di 401 alberi, per un totale pari a 4006), dunque protetti direttamente dallo Stato Italiano, al di là che essi appartengano al patrimonio demaniale, o si trovino in giardini, boschi e altri luoghi di proprietà privata.
Tra i 401 nuovi arrivati, o meglio gli ultimi riconosciuti, ve ne sono di molto grandi: ad esempio un castagno presso il Maso Maggner a Renon (Bolzano), con una pancia di 862 cm di circonferenza, uno dei recordman di questo quinto aggiornamento; roverelle presso i boschi di un comune che pochi conosceranno, Brindisi Montagna (Potenza), in Basilicata, con tronchi di 730 e 760 cm di circonferenza; in Calabria spunta un castagno di 840 cm, in quel di Sorbo San Basile (Catanzaro), mentre sul Colle Sant’Elia si esibisce un ulivo a Varopodio (Reggio Calabria) di 750 cm.
Dal vasto campionario dei giardino inglese che costeggia la Reggia di Caserta vengono finalmente accolti alberi quali un altissimo abete di Douglas (altezza 40 metri, circonferenza tronco 580 cm), cedri del Libano, araucaria bidwillii australiane, cipressi di Monterey, zelcove, camelie, alberi della canfora, eucalipti, sughere e olmi del Caucaso. Una farnia molto vasta, con tronco di 870 cm, a Barano d’Ischia (Napoli), oltre a vari campioni nel capoluogo campano: fitolacche, melaleuche, tassi, palme messicane, magnolie e alberi della canfora a Capodimonte (di uno di questi campioni ne avevamo scritto proprio su il manifesto, in un articolo uscito lo scorso 17 marzo nell’inserto Extraterrestre).

A MONFALCONE, in provincia di Gorizia, viene documentata la presenta di un salice piangente, con una circonferenza del tronco pari addirittura a 426 cm, in via dell’Agraria; i salici piangenti crescono come sappiamo rapidamente e creano ampie nuvole foliari ma eccezionalmente possono arrivare a manifestare tronchi di questa portata. A Tramonti di Sopra, nel pordenonese, vivono 271 abitanti ma sono stati individuati diversi tassi ultrasecolari con tronchi superiori ai tre metri. Una nota sequoia gigante al Parco Ducale di Pavullo nel Frignano (Modena) ci attende con i suoi oltre sei metri di vastità del piede. Molti gli alberi già noti di Genova che sono entrati di diritto nell’elenco – ma come era possibile che non vi fossero già? – basti pensare ad esempio alla falsa canfora di Villa Pallavicini, alle sequoie del Parco di Villa Serra a Comago, nell’entroterra ligure, nonché ad alberi dei parchi del centro di Bergamo e Brescia, Como e Livigno.
Ovviamente i cittadini interessati a presentare una candidatura, magari di un albero presente nel proprio giardino, nei parchi comunali o incontrato lungo un sentiero in pieno Appennino di cui non si hanno studi particolari, possono segnalarlo al Ministero e alla Direzione generale delle foreste.