Quando Liliana Segre entra nell’aula magna del rettorato della Sapienza tutta la platea si alza in piedi e inizia ad applaudire. La senatrice a vita è nel più grande ateneo d’Europa per ritirare un dottorato honoris causa in storia dell’Europa durante l’inaugurazione dell’anno accademico 2019/2020, il numero 717 dalla fondazione. «Lo dedico a mio padre, l’uomo più importante della mia vita, ucciso per la colpa di essere nato», dirà più tardi.

SIEDE DIETRO AL TAVOLO al centro della sala, tra i presidi togati delle facoltà e l’orchestra che apre la cerimonia con l’inno italiano e la chiude con quello europeo. Accanto a lei le rappresentanze universitarie, con il rettore Eugenio Gaudio giunto al capolinea del suo mandato. Davanti i rappresentanti delle istituzioni locali e nazionali. La sindaca di Roma Virginia Raggi, che invita a rinnovare la memoria della Shoa per contrastare i troppi episodi di intolleranza, e il presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti, che traccia un parallelo tra il virus Covid-19 e quello dell’odio. Tra le autorità, ci sono il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese e la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati.

MA È LA BAMBINA sopravvissuta ai campi di concentramento e diventata ormai nonna il centro della cerimonia. Segre, nata nel 1930 in una famiglia ebraica, subì gli effetti delle leggi razziali votate dal fascismo nel 1938. Nel 1944 fu deportata ad Auschwitz-Birkenau insieme al padre, che non vide mai più. Poche settimane prima avevano cercato asilo in Svizzera, ma erano stati respinti alla frontiera di Lugano. Alla fine di gennaio del 1945, quando il campo fu evacuato, dovette partecipare a una delle cosiddette «marce della morte» verso la Germania. Rinchiusa nuovamente a Malchow, nella regione tedesca del Meclemburgo, fu liberata il primo maggio dello stesso anno dall’Armata Rossa sovietica.

«IN QUESTA GIORNATA ricca di soddisfazioni, tra i tanti professori incontrati nella vita e che mi hanno dato conoscenza, non posso che ricordare un povero professore francese conosciuto ad Auschwitz», racconta Segre nel silenzio dell’imponente aula magna. Con quell’uomo, che aveva l’età di suo padre, la ragazzina di seconda media rinchiusa nel campo di concentramento fingeva di essere tornata tra i banchi di scuola, nei pochi attimi in cui gli consegnava le munizioni della fabbrica Union, di proprietà della Siemens, dove entrambi erano schiavi. «Per noi, vestiti a righe, ischeletriti, erano attimi di libertà assoluta. Eravamo liberi come si è liberi davanti alla conoscenza», dice.

LA SENATRICE mette da parte il discorso preparato e divaga attraverso altri episodi della prigionia. Come l’ingresso ad Auschwitz, quando per un capriccio del kapò non le viene tagliata la folta chioma, unica tra le 31 compagne di deportazione. Per quel motivo giorni dopo prenderà i pidocchi e sarà inviata in una sauna, per rasatura e disinfestazione. «Quella giornata terribile fu la peggiore, per la solitudine, il freddo, la finestra aperta in questo stanzone, aggrappata a una piccola stufa, con i soldati che passavano ridendo», dice Segre. E lì, «in un universo dell’orrore in cui i migliori sentimenti erano stati uccisi con le persone», è ancora la conoscenza messa da parte ad aiutare la bambina a stabilire un contatto umano con una ragazza cecoslovacca poco più grande di lei, attraverso un latino basilare coltivato negli studi classici. Lo studio «fonte di salvezza per riattaccarsi a qualcosa che non era dimenticato» e stabilire in un secondo un contatto di amicizia.

COSÌ, nel luogo in cui si formano ogni anno migliaia di giovani, la reduce dei campi di concentramento che ha fatto della memoria della Shoah una battaglia contro i rinnovati rigurgiti di antisemitismo e razzismo spiega il senso del suo ingresso tardivo in Senato: combattere quell’odio che le ha segnato la vita, che inizia mettendo al palo, umiliando le minoranze per poi passare ai fatti. «Non c’è limite all’odio. Non c’è limite neanche all’indurre qualcuno a odiare», dice Segre.

IN CODA ALL’EVENTO la senatrice si è avvicinata e ha salutato Valerio Cerracchio, il rappresentante degli studenti intervenuto nonostante le polemiche. La sua presenza era stata giudicata inopportuna dagli universitari, in quanto eletto tra le liste del gruppo di destra radicale «Generazione popolare».