Duemila studenti in piedi ad applaudire la senatrice a vita Liliana Segre ieri a Milano, invitata al Teatro degli Arcimboldi in occasione delle celebrazioni della Giornata della Memoria per un evento organizzato dall’Associazione Figli della Shoah. Ad accoglierla la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina: «Siamo noi la sua scorta, tutta la scuola si onora di essere la scorta contro ogni rigurgito negazionista e fascista e contro ogni odio e nella difesa della Costituzione italiana. C’è uno spartiacque nella storia di Italia, c’è un prima e un dopo le leggi razziali».

Tra cartelli colorati e cori, la senatrice ha conquistato la platea: «Mi spiace da matti avere 90 anni e così poco tempo davanti. Anche se ho gli odiatori che mi augurano di morire tutti i giorni, a me dispiacerebbe morire. La vita mi piace moltissimo» ha esordito sorridendo. Ai ragazzi ha raccontato il suo calvario: l’esclusione da scuola in seconda elementare nel 1938 in seguito alle leggi razziali, la fuga in Svizzera, il carcere a San Vittore con il padre torturato dalla Gestapo, la deportazione, l’internamento ad Auschwitz-Birkenau. L’ultima volta che vide il padre aveva solo 13 anni. E ancora le «marce della morte» sotto la minaccia dei soldati tedeschi: «Chi si fermava veniva ucciso. Cerchi di mangiare qualche cosa da terra, come un maiale. Mangi la neve se non è sporca di sangue. Ce l’abbiamo fatta perché siamo fortissimi, siamo persone, vogliamo vivere».

Infine la liberazione. Il suo carceriere gettò la rivoltella ai suoi piedi per scappare: «Mi ero nutrita di odio e di vendetta – ha raccontato -. Sognavo la vendetta.

Quando vidi la pistola pensai ’Adesso lo uccido’. Mi sembrava il giusto finale di quello che avevo sofferto. Fu un attimo irripetibile. Ma capii che non avrei mai potuto uccidere nessuno. Non raccolsi quella pistola, da quel momento sono diventata quella donna libera, quella donna di pace che sono anche adesso».

Per gli studenti una raccomandazione: «Siate persone libere, dovete pensare con la vostra testa, non con quella di chi grida più forte. I bulli bisogna compiangerli, vanno curati. La vittima è più forte: deve essere coraggiosa e denunciare. Non siate indifferenti nel guardare i gesti del bullo: i nazisti erano i bulli di allora. Erano odiatori, ma non quelli da tastiera di oggi, bensì quelli educati all’odio. A Birkenau c’erano i veri professionisti dell’odio. Hitler non era un pazzo, era un uomo molto intelligente e chissà cosa avrebbe potuto fare se non avesse perso la guerra. Nei campi, tra le file della Gestapo, delle guardie naziste, dei kapò non c’erano pazzi: erano uomini normali che si ritenevano superiori, erano grandi odiatori verso coloro che ritenevano inferiori. Così sono i bulli». Per essere liberi bisogna scegliere da che parte stare, bisogna scegliere la libertà, battersi per poterla scegliere, ha spiegato Segre: «La prima libertà è quella di pensiero: al campo, il mio corpo era prigioniero ma la mia mente no. Ho sempre pensato con la mia testa e così dovete essere anche voi. È la libertà di pensiero che dovete difendere contro l’indifferenza che invece regnò durante la Shoah».

Cosa ha significato rinunciare al pensiero critico, nascondersi dietro gli ordini, porre la ragione di stato prima dei diritti, lo ha raccontato Segre: «Non ci fu nemmeno un ferroviere a domandarsi come mai quei treni partivano pieni e tornavano vuoti. Anche gli Alleati non bombardarono le ferrovie, le fabbriche e men che meno i campi di concentramento. Nessuno si occupò di noi e nessuno accettò di sapere la verità di quei campi. Nemmeno quando qualcuno riuscì a scappare e a parlare col primo ministro inglese Churchill per raccontare che cosa stava avvenendo in Europa». Infine ha ammonito: «Non restate indifferenti come gli adulti. Con noi ebrei tutti erano indifferenti, solo i carcerati di San Vittore ci mostrarono pietà».