Un film la cui voce è la danza, la natura, il paesaggio. Personaggi in attesa, dai volti antichi, vecchie case, distese di sabbia e di campi, una barca in cammino sul mare. Il corpo che racconta piccole storie di umanità, montate con un ritmo coreografico e musicale, complice una partitura sonora culminante nel morbido vortice del Walzer n. 2 della Suite Jazz di Šostakovič. Accade in Elegia delle cose perdute, mediometraggio di Stefano Mazzotta in co-regia con Massimo Gasole, direttore della fotografia Damiano Picciau, film presentato in anteprima in settembre al festival Oriente Occidente di Rovereto che torna sullo schermo e in scena in queste settimane. In scena e sullo schermo perché Stefano Mazzotta, fotografo e coreografo, fondatore della compagnia di danza contemporanea di Torino Zerogrammi, da sempre si interessa all’intreccio dei linguaggi: Elegia delle cose perdute è non a caso un progetto a più formati. Nasce in triplice versione teatrale, out-door e cinematografica, in via di pubblicazione anche un libro fotografico (Elisso Edizioni, Nuoro), a partire da un lavoro ideato prima della pandemia e presentato, quando era in progress, alla NID Platform – Piattaforma della Danza Italiana 2019, a Reggio Emilia. Il film, prodotto in Sardegna con il contributo di Interconnessioni – progetto di residenza curato da Simonetta Pusceddu, è stato girato tra Settimo San Pietro e le antiche case campidanesi, le spiagge della costa sud orientale e il rifugio Don Bosco a Cagliari. Si ispira al romanzo I poveri dello scrittore portoghese Raul Brandão, racconto di un popolo di derelitti, di misera gente, la cui vita è tenuta insieme da un sentimento di perdita.

IL TEMPO DEL FILM scorre portato avanti da un montaggio (di Gasole) guidato dalla danza, immagini in cui è il corpo, con i suoi sguardi, i quadri di famiglia, le corse collettive nei campi, il rumore del movimento nell’ambiente (suono di Emanuele Pusceddu) a consegnarsi un viaggio nelle sfaccettature emotive della nostalgia. Le inquadrature alternano così quadri legati agli interni, con donne appoggiate agli stipiti delle porte o dormienti di fronte a una radio che suona, o con il poeta matto Gabirù seduto sulla cornice di una finestra o il dolce ragazzo travestito che su una sedia guarda l’orizzonte, al respiro di quell’orizzonte stesso che è mare, campagna ripresa dall’alto, spazi aperti che fanno pensare a qualcosa di possibile oltre il passato. Il cielo, il sole, la luna, le case all’imbrunire, i piedi inquadrati mentre passano sempre davanti alle stesse porte, la donna che piange (la brava Amina Amici), le danze collettive animano dall’interno un paesaggio filmico pieno di bellezza quanto lontano da estetismi di maniera: un montaggio figlio del corpo narrante. Il film sarà venerdì al Supercinema di Tuscania, il 27 novembre a Cagliari per Interconnessioni, la versione teatrale è in programma alla Sala Pasolini di Salerno il 6 novembre per il Festival Incontri, al Teatro Filarmonica di Corciano, in provincia di Perugia, il 9. www.zerogrammi.org