Quando le leggi elettorali finalmente arrivano davanti alla Corte costituzionale, il loro destino appare segnato. Fu così con il Porcellum, nel 2013 (il 4 dicembre!), giudicato incostituzionale dopo che il presidente della Corte si era spinto ad augurarsi in pubblico che la legge venisse sottoposta all’attenzione dei giudici. Ed è così con l’Italicum, figlio diretto e somigliante del Porcellum, dal momento che – adesso – tutti i partiti – anche quelli che l’hanno approvato con la fiducia – aspettano la sentenza di condanna della Consulta per capire come si potrà andare a votare.

Anche Renzi ora guarda ai giudici della Corte costituzionale, anche se trucca un po’ le carte su quello che potrà succedere dopo: il voto non sarà questione di giorni perché il parlamento dovrà intervenire necessariamente, e per farlo avrà bisogno di leggere le motivazioni della sentenza. Renzi che però si è fin qui mosso in direzione opposta, dando istruzioni all’Avvocatura dello stato di difendere strenuamente l’Italicum davanti ai tribunali dove il pool di avvocati coordinati da Felice Besostri lo aveva condotto. Anzi, la questione preoccupava talmente palazzo Chigi, da aver costituito una sorta di unità di crisi centrale alla quale le avvocature dello stato sul territorio hanno dovuto riferire in corso d’opera tutti i dettagli delle cause. A questo punto sarà interessante vedere se gli avvocati del governo continueranno a sostenere, anche davanti ai giudici delle leggi, che l’Italicum non può essere giudicato perché, non essendo stato ancora applicato, non può aver leso il diritto al voto di alcun cittadino. Nel caso del Porcellum, all’ultimo momento, il governo Monti non seguì i precedenti ed evitò di difendere la legge, che finì abbattuta. Questa volta ancora non possiamo dire quale presidente del Consiglio dovrà decidere, a gennaio, le mosse opportune.

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Le intenzioni della Corte, dove il giudice Zanon ha già avuto il tempo di scrivere la sua relazione (l’udienza era originariamente fissata il 4 ottobre), traspaiono anche dalle mosse di queste ore. Ieri, per difendersi dall’accusa di prendersela troppo comoda, la Consulta ha spiegato che si tratta dei tempi minimi previsti dalla procedura. E successivamente ha informato anche chi non ne aveva notizia che i ricorsi dei tribunali sono diventati cinque (Messina, Torino, Perugia, Trieste, Genova) di questi però solo quattro già comunicati ufficialmente alla Consulta. La data del 24 gennaio è stata in tutta evidenza scelta per inserire anche il ricorso di Trieste, che sebbene verta sugli identici due motivi sollevati da Torino e Perugia (la possibilità per i pluri candidati in testa alle liste di scegliere dopo il voto il collegio, e la mancanza di una soglia per accedere al ballottaggio) appesantisce il piatto delle doglianze. L’ordinanza di Trieste sarà pubblicata, scavalcandone altre, sulla Gazzetta ufficiale del 14 dicembre. Con la riduzione al minimo dei termini (una facoltà del presidente della Corte) per la costituzione delle parti, la convocazione dell’udienza e la presentazione delle memorie, riuscirà così a entrare nel giudizio del 24. Dove potrebbe persino inserirsi l’ordinanza di Genova (che solleva quattro dubbi di incostituzionalità ulteriori rispetto ai due già illustrati, tra i quali l’enormità del premio anche al primo turno), sebbene sia stata spedita dal tribunale alle Corte appena ieri.

La linea di attacco dell’avvocato Besostri invece non cambia rispetto a quella studiata per l’udienza saltata di ottobre. Non si limiterà a eccepire sui singoli punti, ma chiederà l’incostituzionalità di tutto l’Italicum. Dopo l’affossamento della riforma costituzionale ha sicuramente qualche argomento in più.