Di tutti i duecento dischi dell’etichetta manifesto cd, ce ne sono alcuni esauriti e introvabili come Pete Seeger in Italia, un album rocambolesco quanto potente, un’istantanea sonora di com’era il nostro paese-e l’afflato della musica popolare e ribelle- negli anni settanta. Lo pubblicammo nel 2006, grazie al Circolo Gianni Bosio che già ci aveva proposto altri dischi e col quale avevamo una fruttuosa collaborazione, dopo che un giorno Dario Toccaceli , musicista e organizzatore culturale, parlando con Alessandro Portelli si ricordò dell’esistenza di nastri registrati di due concerti tenuti dal folksinger newyorchese a Novara e Torino nel 1977, partecipando anche al Primo festival della canzone popolare (in onore di) Victor Jara, ucciso pochi anni prima.

Una dozzina di canzoni registrate dal vivo, col meglio della sua produzione, col continuo interagire col pubblico, con una preveggenza straordinaria quando canta Car, car o il blues I Don’t Mind Dyin’, ricordando che sia a Detroit che a Torino si fabbricano automobili, ben prima dell’invenzioni finanziarie di Marchionne, forse davvero i menestrelli hanno la possibilità di vedere in anticipo il futuro. Il disco fu un successo notevole riportando l’attenzione su un grande protagonista della musica popolare americana, impegnato in battaglie democratiche e progressiste, anche grazie al quasi contemporaneo We shall overcome- the Seeger’s Sessions, il tributo di Bruce Springsteen al grande patriarca di quel repertorio di canzoni folk e popolari che Bruce conosceva un po’ superficialmente ma, ascoltandole, si è ben presto entusiasmato fino ad arrivare a inciderle in un’atmosfera raccolta e allegra, da musicisti di campagna che suonano sull’aia.

Nel disco del manifesto, c’erano tutti i pezzi che il cantastorie (lo storyteller, come si definiva lui stesso) aveva reso famosi in tutto il mondo, da Which side are you on, la canzone degli anni trenta su uno sciopero dei minatori di Harlan County, scritta da Florence Reece, la moglie di un sindacalista sulla base di una melodia tradizionale religiosa, portata al successo dagli Almanac Singers, forse il primo gruppo di protesta del folk statunitense, composto da Millard Lampbell, Lee Hays, Pete Seeger e Woody Guthrie, attivo tra il 1940 e il 1943, a If I Had a Hammer.

Scritta nel 1949 a sostegno delle battaglie per i diritti civili, contro la discriminazione razziale e per la pacifica convivenza, parla di «martello della giustizia e campana (al posto di falce) della libertà», un brano che sbancherà classifiche di vendita in tutto il mondo in diverse versioni (compresa quella yeyè di Rita Pavone) ma che fu, a lungo, boicottato dalle stazioni radio del sud degli States, fino a Where all the flowers gone, un altro inno sublime, profondamente antimilitarista, ispirato da alcune parole di un romanzo russo (Il placido Don, di Mikhail Sholokhov) e diventato un brano facilmente cantabile, anche questo portato al successo da altri e poi «tornato»al suo legittimo autore (la canzone dà anche il titolo all’autobiografia di Seeger, pubblicata per la prima volta, nel 1993 e ormai giunta alla terza edizione, con aggiunte, spartiti, aneddoti, ragionamenti ed esempi pratici). In quelle esibizioni aveva «citato» anche una tarantella siciliana come omaggio all’Italia, il paese dove era venuto in visita con la famiglia negli anni sessanta e aveva registrato dei cantori popolari in Abruzzo.

Militante per i diritti civili e internazionalista, Peter veniva da una famiglia di musicisti, il padre Charles musicologo che perse il lavoro per l’adesione al socialismo e la madre Constance Edson, una violinista classica, ottima compositrice che scriveva partiture per quartetti d’archi, ma fu costretta ad andare in giro a suonare per strada per racimolare il denaro necessario a portare avanti la famiglia. Infaticabile divulgatore di musica popolare, Seeger è stato un intellettuale che ha attraversato cantando – con allegria e con sano radicalismo – tutto il Novecento, artista ricco di «una benedetta inquietudine» pronto a mettersi al servizio di tutte le battaglie portate avanti dalla collettività.

(si ringraziano Simona Frasca e Giovanni Vacca , ampiamente utilizzati, per questo ricordo)