Per capire dove si nasconde la novità e perché il festival See You Sound si dichiari ‘Il primo festival cinematografico in Italia dedicato al cinema di genere musicale’, può venire in aiuto il vecchio gioco del ‘Se fosse’. E dunque: se See You Sound fosse un film, che film sarebbe? Cantando sotto la pioggia, Ginger Roger e Fred Astaire? Siete fuori sincrono. La colonna sonora de Il laureato, capolavoro di Simon e Garfunkel? Avete steccato. Koyaanisqatsi, documentario di Godfrey Reggio, 1982, in cui la musica di Philip Glass ha un ruolo fondamentale? Risposta sfocata. Meglio chiedere a chi See You Sound lo ha pensato e trasformato in un festival che si terrà a Torino dal 13 al 17 maggio. Genitori dell’evento sono Juanita Apraez Murillo, direttore artistico, colombiana, sabauda dal 2011, cinque anni di cineforum in quel di Milano; Maurizio Pisani, presidente, ex proprietario di un locale nel quartiere San Salvario, dove i cineforum erano di casa. L’incontro rafforza la convinzione di entrambi che, in Italia, non esiste la possibilità di fruire del genere cinematografico musicale. Dice Maurizio, requisito durante uno dei rari cali di febbre da rush finale: «I circuiti distributivi dedicano pochissimo spazio a questo tipo di cinema. Spesso sono pellicole – evento che vengono programmate un giorno (vedi il documentario Marley di Kevin Macdonald, distribuito nelle sale il 26 giugno 2012 dalla Lucky Red, ndr) e poi spariscono.
L’idea di Seee You sound nasce per allargare lo sguardo dello spettatore su un genere che non va confuso con il Music Hall. Cinema musicale vuol dire cinematografia che ha come soggetto la musica, le sue anime, le sue storie, le sue leggende, le sue tradizioni». In tal senso, esempio può venire da Les chats persans, Gatti persiani, di Bahman Ghobadi, 2009, storia di due ragazzi iraniani che sognano di fare rock e che Nader condurrà nel mondo musicale underground di Teheran, dove conosceranno band nascoste nelle cantine per comporre e suonare brani invisi al governo. Da Teheran di nuovo a Torino. Il documentario è perno centrale del festival, nonostante la produzione di fiction in tema sia molto vasta. Sottolinea Maurizio «L’urgenza dei tempi, le difficoltà nel quagliare determinati contatti, hanno limitato una ricerca più approfondita nel filone fiction. Contiamo su una maggior presenza nel 2016». Una domanda precede quella cui è affidata il compito di tracciare un quadro della manifestazione: da che parte sono arrivati i soldi? «Non abbiamo contributi pubblici, né diretti, né indiretti. Ovvero, neppure in servizi. Siamo partiti cercando di capire la situazione nell’ambito dei finanziamenti del Comune a iniziative culturali. Ma, in generale, la città ha focalizzato la sua attenzione sui grandi eventi. Se poi guardiamo al cinema, l’atmosfera è bulgara. Il Museo del Cinema, negli anni, ha assorbito e accentrato su di sé tutti i grandi festival torinesi. Un bene o un male? Non lo so. Fatto sta che non siamo riusciti a creare nessun contatto, salvo una telefonata durante la quale ho spiegato il progetto a chi mi aveva risposto. Cercavamo un aiuto ‘di sponda’ per diffondere il bando di concorso e l’iniziativa. L’interlocutore è sparito».
Se i patrocini sono abbastanza facili da ottenere perché non comportano impegno finanziario da parte di chi li concede, un main sponsor e altri sponsor minori hanno permesso di coprire un budget intorno ai ventimila euro. Cifra irrisoria, resa tale dal volontariato di tutti, vertici compresi. Cui si aggiungono i tirocinanti, grazie a un accordo con l’università. Passiamo alla ricerca di titoli e autori, che arrivano dal Nord Europa, dalle Americhe, dall’Africa e, in nutrita schiera, dall’Italia «Le sezioni sono tre, tutte con opere in concorso. Cacciatore degli otto film nella sezione Long Play, lungometraggi, è stato Paolo Campana insieme a un ristretto gruppo di collaboratori. Parallelamente abbiamo fatto un bando di partecipazione.
Presenteremo anteprime italiane e europee, come l’inglese Orion, tratto dal best seller di Gail Brewer-Giorgio dove si racconta la storia vera di Jimmy Ellis, un cantante di secondo piano, sosia di Presley anche nella voce, costruito a tavolino per esaltare il mito di Elvis. La sezione 7 Inch, cortometraggi, tempo massimo di durata trenta minuti, diretta da Carlo Griseri ha selezionato diciotto titoli arrivati esclusivamente tramite bando. Su un totale di cinquecento titoli ricevuti, 7 Inch vanta il record numerico». Inghilterra, Francia, Stati Uniti le presenze più folte. Infine Soundies, videoclip, diretta da Umberto Mosca «Soundies è stata oggetto di discussioni iniziali molto accese a fronte di una scelta che mi vedeva forte sostenitore.
I risultati mi hanno dato ragione: alta qualità, quaranta opere in concorso e due eventi paralleli. Il primo, La notte rossa dei videoclip, in collaborazione con Mtv, si svolgerà il 16 maggio, a mezzanotte, al cinema Baretti. Quattro ore di proiezioni del meglio degli ultimi dieci anni. Secondo evento il Directors Hackethon, un’idea del direttore generale Federica Ceppa, ispirata all’Hackethon per ‘smanettoni’: conclave di progrannatori che deve mettere a punto un software entro un tempo determinato.
Nel nostro caso, i videomaker di tutto il mondo, dopo essersi iscritti entro il 14 maggio, riceveranno una traccia di tre minuti, regalo dei Two Fingers, un duo italiano pop, su cui realizzare in due giorni una clip che diventerà la sigla del prossimo festival». Degli eventi collaterali parliamo nel box in queste pagine. Qui merita evidenza la rassegna Rising Sound, lavori mai visti, o magari intravisti in qualche cineclub. Sono atterrati a Torino da Argentina, Brasile, Stati Uniti, Francia, Germania, Inghilterra… Promettono di sorprendere.
Taglierà il nastro di See You Sound, il 9 maggio, alle 22, sulla piazza del mercato di piazza Madama Cristina, San Salvario, la proiezione di±±±± Jesus Christ Superstar. Quasi a dire: guardiamo al futuro. Ma come rinnegare un così illustre passato?