Se solo ci vedessimo come ci vedono gli altri. Se solo ci amassimo, come ci amano gli altri. Come Sean White, per esempio. Il suo vero nome è Zhang Changxiao, autore e critico musicale di origine cinese, music planner e Ceo dell’agenzia di comunicazione LongMorning Music Group. Zhang viene in Italia nel 2012 per studiare Ingegneria Robotica al Politecnico di Lecco. Studi che lascerà poco dopo, nel momento preciso in cui la sua passione sfrenata per la musica si infiammerà dopo aver ascoltato Fabrizio De Andrè.

Impossibile per noi comprendere cosa scatti nell’animo di un cinese ascoltando la schiuma del mare e la puzza di urina che fanno da sottofondo alle memorie che costituivano l’humus della musica di De Andrè e che noi, istintivamente, da qualunque latitudine di questa stretta penisola, comprendiamo e lasciamo che ci commuovano e ci guidino verso un più profondo antro del nostro essere. Dov’è, qui, la Cina? Ma la stessa domanda ce la si dovrebbe porre nel momento in cui li vediamo impazzire per l’opera, il vino, la moda di Versace e qualunque altra cosa si porti dietro un vago ma riconoscibile marchio made in Italy. White da oltre sei anni è diventato il massimo esperto cinese di cantautori italiani e lavora per promuovere l’incontro culturale tra l’Italia e il suo paese, attività per la quale ha ricevuto numerosi riconoscimenti. Con la sua agenzia di comunicazione LongMorning organizza concerti in Cina per artisti italiani ed internazionali come Eugenio Finardi, Giovanni Allevi, Stewart Copeland e molti altri. Si occupa, inoltre, del copyright della musica italiana in territorio cinese, in modo che possa essere ascoltata sulle piattaforme di streaming musicale. Nel 2013 e nel 2014 ha invitato il «padre del rock cinese» Cui Jian a partecipare al Premio Tenco e al Premio Lunezia. Nel 2016 ha ricevuto il Premio Nazionale Falcone e Borsellino per il suo contributo nell’interscambio culturale. Nel 2017 si è aggiudicato il Premio come «Personaggio culturale dell’anno di Jinan». Lo scorso novembre, Sean ha organizzato il Mandorla Music Festival, la prima rassegna musicale che celebra il sodalizio tra la cultura cinese e quella italiana. Inoltre, ha scritto un best seller (200 mila copie vendute in Cina) dal titolo Creuza da Mao e ha recentemente presentato, in occasione della China Week di Milano, la Jingshan Wu Opera.

Qual è la sua personalissima «Creuza de Ma»?
Un giorno mi trovavo sul Lago di Lecco e ho sentito suonare la musica di Fabrizio De André. La prima canzone che mi ha colpito è stata Nella Mia Ora di Libertà: ho subito capito che quella sarebbe stata la mia strada. Ho amato immediatamente la voce di Faber, ancora prima di iniziare a comprendere lentamente i suoi testi. Sono stato folgorato dalla musica e, una volta percepita la sua bellezza più profonda, me ne sono innamorato. Grazie a questo primo incontro ho iniziato a scoprire che in Italia esiste un’ampia tradizione di musica d’autore, con musicisti come Francesco De Gregori o Ivano Fossati. Così ho cominciato a chiedermi se, come Marco Polo, che in passato è riuscito a portare in Italia i miantiao (gli spaghetti cinesi), avrei potuto anch’io portare finalmente tanta buona musica italiana in Cina. Ho quindi iniziato a lavorare ad un libro da pubblicare nel mio Paese, seppur con grandi difficoltà, non conoscendo l’italiano. Ci sono voluti tre anni per completarlo ma la soddisfazione è stata enorme. Un ragazzo cinese che non parla italiano fluentemente è riuscito a intervistare tutti i maggiori cantautori italiani! Un vero miracolo. Spesso l’entusiasmo e la determinazione finiscono per superare anche le barriere linguistiche.

Cina-Italia: cosa c’è di vero nel nostro rapporto?
È un rapporto piuttosto delicato. Gli italiani hanno una mente artistica, spesso disorganizzata, ma trattano le persone in modo amichevole, senza farsi nemici. In Cina esistono diverse battute sugli italiani, prova del fatto che le persone in entrambi i Paesi non si conoscono davvero. Parlando di scambi concreti, i maggiori avvengono attraverso il cibo, la musica e la letteratura. Sono il tipo di esperienza più diretta. In quest’epoca la gran parte delle persone si ferma a conoscenze superficiali piuttosto che andare in fondo alle cose. Soprattutto per quanto riguarda l’Italia. Per esempio in Cina poche persone ascoltano la musica italiana, non perché non sia di qualità, ma principalmente per la mancanza di canali che la distribuiscono e per la complessità della musica d’autore italiana. Queste condizioni rappresentano ancora delle importanti barriere per una vera conoscenza reciproca.

Lei cosa ama e cosa odia di entrambi i paesi?
La Cina è come mio padre e mia madre. L’Italia è la ragazza di cui sono innamorato. Apprezzo la crescita economica della Cina ma non condivido il suo atteggiamento poco professionale e poco serio. Degli italiani amo invece il loro essere sempre allegri come bambini e la loro umanità verso gli altri. Non mi piace però il culto ossessivo per la cultura americana che ho notato essere molto forte.

La Cina ci ama?
Nutre un notevole entusiasmo nei confronti dell’Italia. Principalmente poiché
gli italiani posseggono una generale e positiva apertura nei confronti della creatività e produttività straniera. Tutto è possibile in Italia, fintanto che hai immaginazione. Credo che in futuro la Cina possa diventare una seconda Italia. I prodotti di alta qualità made in China saranno presto degni sostituti dell’eccellenza made in Italy.

L’Occidente è un po’ angosciato dal predominio cinese…
Comprendo che la forte presenza cinese in Italia possa essere percepita come prepotente e un po’ aggressiva. Ma non si tratta tanto di prevaricazione quanto dell’incontro, forse talvolta complicato, tra due differenti stili di vita. L’impatto con la Cina ha stimolato anche una nuova vitalità economica e culturale. Credo che questo sia il vero fascino dei flussi migratori: le culture s’incontrano e così si arricchiscono, guadagnano colore. I cinesi sono un popolo amante della pace e gli italiani hanno una naturale propensione per l’accoglienza. Questo è il motivo per cui i cinesi sono tanto grati a questo Paese. È vero, i cinesi amano copiare, perché la copia è la forma più semplice e immediata per produrre rapidamente valore economico. Tuttavia la Cina si trova oggi in una fase di rapido sviluppo economico, stadio che i Paesi occidentali hanno già attraversato in passato. L’Italia stessa si è trovata nella posizione di copiare i prodotti americani, ad esempio nel campo dell’arte contemporanea o della musica pop. Ma l’Italia oggi produce opere musicali assolutamente originali e di eccellenza. Senza dubbio copiare può essere soltanto il primo passo, ma la vera sfida sta nel trovare la propria vera individualità.