Undici donne e 15 bambini (tra i quali due neonati e otto minori non accompagnati) sono parte del gruppo di 65 migranti salvati ieri dalla Ong tedesca Sea Watch al largo della Libia, 34 miglia a nord di Zuara. Viaggiavano su un gommone in difficoltà individuato grazie all’elicottero di ricognizione Colibrì, dell’Ong francese Pilotes volontaires.
Al momento del soccorso erano «esausti, disidratati e con il mal di mare». Tra loro anche un disabile. «Libia, Malta, Italia, Olanda (stato di bandiera della nave Sea Watch 3) sono state informate: nessuna risposta – spiegano da bordo -. Restiamo in attesa di un porto sicuro che non può essere la Libia. Nel Mediterraneo stanno diminuendo i testimoni, non le partenze». Ma dal Viminale è arrivata una direttiva, la quarta, inviata a tutte le forze armate che bolla il passaggio dell’imbarcazione come «non inoffensivo», ne consegue «un pregiudizio alla sicurezza dello stato» e si chiede quindi di «vigilare affinché il comandante e la proprietà si attengano alle vigenti normative» visto «il rischio di ingresso di soggetti coinvolti in attività terroristiche».

L’intervento dissuasivo andrà fatto «in caso di avvicinamento in acque di responsabilità italiana». Salvini quindi mette in campo le motovedette, in sintonia con Giorgia Meloni e la sua richiesta di blocco navale.

Da mesi è cessata qualsiasi cooperazione nelle operazioni di ricerca e soccorso tra i Centri di coordinamento degli stati e le Ong. Philipp Hahn, capo missione Sea Watch, commenta: «Devi fare tutto da solo, nel fine settimana abbiamo visto cosa succede quando lasci il Mediterraneo all’Ue e ai suoi alleati: il numero di partenze dalla Libia è aumentato drasticamente. Settanta persone sono morte (annegate al largo della Tunisia, ndr), altre 240 sono state riportate forzatamente dai libici per conto dell’Europa. Siamo tornati in mare per contrastare questa barbarie e per difendere i valori europei, invece di ripeterli solo sui manifesti elettorali».

La nave dell’Ong tedesca aveva lasciato Marsiglia sabato scorso, dopo aver vinto il ricorso contro il ministero dei Trasporti olandese, che l’aveva bloccata dopo aver modificato la legislazione in materia di navigazione. Gli attivisti, però, si sono visti riconoscere il diritto a proseguire il servizio per un periodo di transizione, prima che entri in vigore la nuova normativa.

Modifica, è il sospetto, fatta di proposito per bloccare l’attività umanitaria. Dall’Italia, si è fatto sentire subito il ministro dell’Interno, Matteo Salvini: «Ho appena firmato una diffida ad avvicinarsi alle acque territoriali. I nostri porti sono, e rimangono, chiusi». Un copione già visto, l’unica variante è il nuovo corso 5S, che prevede di lasciare l’alleato leghista da solo su posizioni di destra, in vista delle europee. Il vicepremier Luigi Di Maio ieri ha sfoderato il repertorio da moderato: «Sulle migrazioni c’è bisogno di collaborazione a lungo termine, di un testimone che i vari governi si passano tra di loro. Siamo impegnati a destinare più fondi del prossimo bilancio pluriennale alle politiche esterne dell’Unione e a una nuova cooperazione internazionale».

Mentre Sea Watch resta in attesa dell’ennesimo braccio di ferro, da Berlino ieri è arrivata la bocciatura della linea dei porti chiusi di Malta e Italia: «Il governo tedesco è contrario a una criminalizzazione generalizzata del salvataggio di migranti da parte di privati. Più volte abbiamo offerto disponibilità ad accogliere migranti a bordo di navi che non riuscivano ad approdare perché gli stati responsabili avevano chiuso i porti» ha spiegato il portavoce del Ministero dell’Interno. Il commento era riferito anche alla multa da 10mila euro inflitta da Malta all’Ong tedesca Mission Lifeline, che aveva salvato lo scorso giugno 234 migranti poi sbarcati a La Valletta. Motivo della sanzione: violazione delle norme del registro nautico.