Le prime immagini raccontano una storia familiare, una vacanza al mare, a Mont Saint- Michel, un uomo, una donna, i loro bambini, il desiderio sbiadito come quei fotogrammi di una felicità «per sempre». Li ritroviamo anni dopo, i figli sono cresciuti, i genitori – per i quali qualcuno dice l’ispirazione arriva dai genitori della regista – sono rimasti soli nella casa stipata di libri e di conversazioni, lei perseguitata dalla mamma che è invecchiata, ansiosa, sempre bellissima Edit Scob, capace di dormire col gatto Pandora tutto il giorno e di spendere fino all’ultimo centesimo in magnifici abiti.

 

 

Nathalie invece, questo il nome della donna, è il contrario: severa, nelle sue gonne e golfini, professoressa di filosofia che quando gli allievi scioperano fa lezione perché il suo desiderio non è fare la rivoluzione ma insegnargli a pensare con la propria testa. In passato è stata comunista cosa che oggi agli occhi del marito sembra una vergogna. Un ex allievo tra i suoi prediletti che vive in campagna, in una casa comune insieme a altri attivisti anarchici, la interroga quasi sfrontato durante un pranzo sul passato, sulle lotte, su come inventare nel presente nuove forme di resistenza.

 

 

L’avenir – che in Italia arriva oltre un anno dopo la presentazione alla Berlinale col titolo Le cose che verranno – è il nuovo film di Mia Hansen-Love, regista di punta nelle nuove generazioni d’oltralpe, che qui ritrova lo slancio di una narrazione limpida dopo le forzature del precedente Eden, e nella successione di momenti, in apparenza banali, riesce a restituire il flusso della vita.

 

 

C’è molta filosofia nel film (Hannah Arendt, Hans Jonas, Emmanuel Levinas, Slavoj Zižek…) ma la dimensione letteraria, cara alla regista, nella scrittura viene calibrata con leggerezza e soprattutto resa parte dell’esistenza dei protagonisti. È un romanzo di formazione L’avenir, come gli altri film di Hansen-Love, anche se al centro, invece dei personaggi giovani, spesso ispirati alla sua esperienza, c’è la figura di un donna – magnifica Isabelle Huppert che in totale complicità con la regia dà vita a un personaggio femminile sfaccettato e unico – più che cinquantenne colta in un momento di passaggio. Il marito la lascia per una più giovane dopo trent’anni di matrimonio, la madre muore, la piccola collana filosofica che curava viene cancellata dai nuovi responsabili del marketing della casa editrice perché non rende abbastanza. E i suoi allievi le propongono di scrivere per un portale di filofosofia on line cogliendola quasi di sprovvista. Mentre il suo pupillo la critica duramente perché non esprime mai una posizione, ed è incapace di mettere in discussione le sue certezze borghesi.

 

 

Così Nathalie deve ritrovarsi (e reiventarsi) ma nonostante i colpi e la fragilità di questo tempo che passa non perde sé stessa Non finisce a letto con il ragazzetto (tipica cosa dei maschi alla sua età) e semplicemente assume questa sua nuova condizione: «l’avvenire» è qualcosa di aperto, la scommessa è riuscire a coglierne le promesse.