Un monaco in un aeroporto, meglio, un certosino tutto di bianco vestito. È la sua divisa d’ordinanza, si chiama Roberto Salus, Toni Servillo lo interpreta e per un momento sembra stia recitando tanto la sua camminata è innaturale. Poi acquista un piccolo registratore e lo prova dettando una poesia in napoletano che recita «Quanno ncielo n’angiulillo nun fa chello c’ha da fà, ‘o Signore int’a na cella scura scura ‘o fa nzerrà». Opera di Ferdinando Russo, poeta e autore di canzoni classiche napoletane. Quando il certosino sale sull’auto che lo attende lo seguiamo come fossimo aquile, o corvi, o forse il suddetto angiulillo perché i titoli di testa sono aerei, con l’inseguimento dall’alto dell’auto laggiù, mentre il paesaggio cambia sino allo splendido complesso del grand hotel Kempinski di Heilingedamm, frazione di Bad Doberan, prima stazione termale tedesca creata alla fine del ‘700. In tempi più recenti, nel 2007, in quel complesso si tenne una sessione del G8 (peraltro molto, molto contestata).

 

 

E proprio a una riunione del G8 sta andando il nostro certosino. Lui è stato invitato come ospite, insieme a una rockstar e una scrittrice di bestseller per ragazzi. Il monaco, che predilige silenzio e povertà, si senta spiazzato in quel contesto. Partecipa alla cena solo per cortesia, lui la sera digiuna. Poi vorrebbe sparecchiare il tavolo che ha visto seduti i potenti del mondo, ma lo bloccano perché così fa saltare il protocollo. Infine, mentre gli altri bevono, conversano e cantano con la rockstar (che rispolvera l’invito trasgressivo di Walk on the Wild Side di Lou Reed) la presenza del monaco si fa più chiara: viene convocato dall’onnipotente, quello terreno, rappresentato da Daniel Roché, capo del Fondo monetario internazionale. Il quale vuole confessarsi dopo avere goduto il più possibile la vita. Ha un tumore. Dopo l’incontro con il monaco l’uomo viene trovato morto.

 

le-confessioni-il-trailer-ufficiale-dell-ultimo-film-di-roberto-ando-256927-1280x720

 

 

Suicidio? Omicidio? Il panico serpeggia tra i potenti che intendono valutare come e quando dare la notizia che sconvolgerebbe i mercati e soprattutto se proseguire sulla linea economica tracciata che prevedeva lacrime e sangue per i paesi malcapitati nel loro tritacarne.

 

 

Roberto Andò confeziona un film completamente disallineato, che rievoca le opere di Paolo Sorrentino (Il divo e Youth) e soprattutto Todo Modo di Elio Petri, anche se lui sottolinea come fossero le atmosfere di Polanski e Hitchcock i suoi eventuali riferimenti. L’universo chiuso dove si trovano i potenti diventa un acquario in cui osservare miserie e debolezze di chi prende decisioni terribili come se fossero astratte, come se non avessero poi implicazioni sulla carne viva delle persone, sulla vita degli esseri umani. Quella morte li ha momentaneamente spiazzati e ancor più li disorienta quel monaco che non intende rivelare alcunché, neppure sotto minaccia.

 

 

Tutto si tiene per l’esasperazione e la spinta verso il grottesco che permette al racconto di non sfaldarsi nella fattualità. In questo senso il film ha un suo pathos e una sua etica con i cani e le upupe che tornano a essere quel che naturalmente sono. Forse sono un po’ troppi i personaggi di contorno, le diverse sfaccettature, non solo del potere, ma anche dei suoi angiulilli custodi. Andò si muove nell’hotel come da tradizione, fuori dalle porte si vedono entrare e uscire persone, all’interno succedono cose altre. Ognuno ha un volto pubblico certo, alcuni hanno anche insicurezze private, tutti vorrebbero relazionarsi con quel monaco.

 

 

Il gioco dei potenti era uno spettacolo allestito da Strehler su testi di Shakespeare, Andò sa di teatro e di drammaturgia e per allestire il suo gioco ha chiamato a raccolta un cast internazionale (Daniele Auteuil, Moritz Bleibtreu, Connie Nielsen, Lambert Wilson, Pierfrancesco Favino) per una intrigante babele di lingue.