Occhi puntati all’insù e fiato sospeso. Non c’è circo che possa fare a meno di acrobati, funamboli, artisti in volo sopra le nostre teste. Non c’è circo che eviti di fare i conti con la paura e con rischio di perdere quell’equilibrio precario eppure eccezionale. Quando parliamo di spettacoli circensi, pensandoci bene, la gran parte delle persone immagina immediatamente domatori di leoni, elefanti e clown. Esiste un tipo di circo, invece, fatto di poesia e di linguaggi differenti che si mescolano fino a creare spettacoli surreali. Quello che da dieci anni gira il mondo con il nome di El Grito è un “circo contemporaneo all’antica”. Cosa significa? “Un tipo di circo nuovo nella metodologia di lavoro, aperto alle arti e più innovativo, e nello stesso tempo molto tradizionale per il modo in cui è organizzato – ci racconta Giacomo Costantini, fondatore della compagnia con Fabiana Ruiz Diaz – ; noi siamo una piccola comunità di nomadi, viaggiamo e viviamo insieme”. Una piccola comunità pronta ad allargarsi ogni volta che ingloba al suo interno altri artisti con i quali creare nuovi e fantasiosi show, come accade in Si tu t’imgines, la più grande coproduzione di circo contemporaneo italo-francese pronta a debuttare al Teatro Pergolesi di Jesi il prossimo 28 settembre (poi la tournée proseguirà in Basilicata e in Puglia fino al 15 ottobre, nell’ambito de “La Francia in scena”, stagione artistica dell’Institut français Italia realizzata su iniziativa dell’Ambasciata di Francia in Italia).

Giacomo, El Grito è una compagnia che nasce dal basso nel 2007, esattamente dieci anni fa. Oggi è una realtà riconosciuta e finanziata dal Ministero dei Beni culturali. Immagino che all’inizio sia stata molto dura…

“Tutto è cominciato in modo un po’ informale. Appena ho conosciuto Fabiana c’è stata subito sintonia tra di noi e abbiamo iniziato a viaggiare. Nel 2006 siamo arrivati a Bruxelles, che pensavamo fosse una tappa di passaggio, e lì siamo stati accolti dallo Espace Catastrophe – punto di riferimento internazionale per il circo contemporaneo – che l’anno successivo ha coprodotto il nostro primo spettacolo. Poi il grande passo lo abbiamo fatto nel 2008 con Scratch & Scretch., nato come spettacolo all’aperto che poi ha girato con successo un po’ ovunque, e con 20 decibel che ha debuttato alla Biennale internazionale di circo ed è diventato un nostro cavallo di battaglia. Ma ad un certo punto ci siamo stancati di essere sempre ospiti. Volevamo tornare in Italia, quindi nel 2011 abbiamo deciso di aprire un circo. Ne ho parlato con mio fratello – che nel frattempo aveva lasciato il suo posto di lavoro sicuro per andare a lavorare proprio in un circo – e in pochi mesi abbiamo costruito il nostro chapiteau. All’inizio abbiamo fatto di tutto, senza soldi e nessuna certezza, ce ne siamo andati in giro per il mondo guidando camion e imparando a fare qualunque cosa”.

E dal 2014 siete una delle due compagnie italiane di circo contemporaneo sostenute dallo Stato. Certo, l’Italia è ancora parecchio indietro rispetto, per esempio, ai cugini francesi…

“Negli ultimi anni le cose si stanno muovendo anche nel nostro Paese, ma con grande ritardo. Non c’è paragone con la Francia o il Belgio, e infatti tutti gli artisti circensi italiani si trasferiscono all’estero. Nel 90 per cento delle nostre date italiane il pubblico assiste per la prima volta ad uno spettacolo di circo contemporaneo. In Francia, invece, il circo contemporaneo è più finanziato della danza e lo possiamo trovare ovunque, anche nei centri culturali”.

Parliamo di Si tu t’imagines, questa grande coproduzione italo-francese che coinvolgerà gli artisti circensi Acolytes. E’ la vostra prima collaborazione?

“Sì, lo è e siamo molto felici. Si tu t’imagines è uno spettacolo di cabaret itinerante. Io firmo la regia di questo lavoro che ha come punto di forza i numeri. In dieci giorni di prove creiamo il nostro universo. E’ un format che abbiamo già sperimentato e che permette ad ognuno di mostrare le proprie qualità artistiche. C’è sempre una piccola dose di incertezza in questo tipo di spettacolo, che però alla fine è molto fresco perché non sai mai veramente cosa accadrà. Sulle note di Bach, lo spettacolo di cabaret itinerante toccherà quattro luoghi diversi: la strada (nella piazza di Guardia Perticara, un borgo di 500 anime); l’arena (a Policoro o a Martina Franca per esempio); lo chapiteu di Taranto, dove si concluderà il tour; il teatro Pergolesi di Jesi, dove il nostro viaggio comincerà con un workshop aperto al pubblico. Ovviamente Si tu t’imagines non può essere uguale in luoghi diversi, quindi verrà adattato alla situazione. Saremo degli artisti in viaggio, insieme nella città: danzatrici aeree, giocolieri e acrobati, Sciamani 2.0 che esorcizzano la paura, guerrieri dell’acrobazia che sfidano la gravità nei luoghi in cui hanno avuto origine”.

A proposito di viaggi e di incontri, avete altri progetti con i Wu Ming?

“Sì, dopo l’esperienza di Piccolo circo magnetico libertario abbiamo deciso di proseguire nell’esperimento circo-letteratura. Wu Ming 2 sta scrivendo un nuovo libro, illustrato, e io realizzerò lo spettacolo a partire da questo testo. Il debutto è previsto a dicembre. E sempre a dicembre debutterà anche Caffè Bach, una vera e propria opera lirica, ma stravolta. Al Teatro Pergolesi di Jesi”.

Ma perché dedicare una vita al circo?

“Intraprendere la carriera circense è come fare una piccola rivoluzione. Per molti della mia generazione (classe 1982) il circo significa fascino della strada e voglia di libertà. La mia è stata senza dubbio una vocazione. E ho imparato a fare questo mestiere da autodidatta. Molti artisti, invece, scelgono di frequentare le scuole, ma in questi casi non hanno modo di conoscere l’aspetto più popolare, la vita insieme, la condivisione di ogni istante della propria esistenza”.

Quando un acrobata è lassù, in alto, non ha mai paura?

“La paura c’è sempre, soprattutto all’inizio, quando inizi a provare il numero. Poi più ti alleni, più la paura se ne va. Bisogna imparare a conviverci, perché il fattore rischio è parte del circo. Se non si corre il rischio di morire non c’è circo”.