Quest’articolo è un po’ diverso dai numerosi altri che nel corso del tempo «il manifesto» ha gentilmente pubblicato, perché persegue un intento pratico, concretissimo, che sovrasta ogni riflessione di tipo teorico-critico. L’intento è quello di rendere coscienti e, per così dire, di «svegliare» le centinaia di migliaia di lavoratori precari del settore privato circa la possibilità, molto alta, di trasformare, tramite una facile vertenza, il loro rapporto di lavoro a termine o di lavoro somministrato nel sospirato rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Ma vogliamo avvertirli, d’altra parte, anche della necessità di muoversi e di agire subito. Ecco come.

Devono muoversi subito, o comunque entro 120 giorni da quando scadrà (o è scaduto) il loro ultimo contratto a termine o di lavoro somministrato, stipulato prima del cosiddetto «Decreto Poletti».
Veniamo, dunque, al punto che ci interessa per fornire le dovute spiegazioni: fino alla Legge 16 maggio 2014 n. 78 (cosiddetto Jobs Act 1 o «Decreto Poletti»), vigeva la regola, tanto antica quanto civile e logica, che solo una esigenza lavorativa effettivamente temporanea e ben specificata nel testo dello stesso contratto a termine poteva renderne legittima la stipula, sicché, in mancanza sostanziale o formale di questa «causale» temporanea, il contratto si sarebbe trasformato automaticamente a tempo indeterminato.

Lo «stato dell’arte» della nostra Giurisprudenza fino al «Decreto Poletti» può essere riassunto, ad esempio, nella massima della Cassazione n. 13992/2013 secondo cui «le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo a sostegno dell’apposizione del termine al contratto di lavoro devono essere specificate dal datore di lavoro in maniera circostanziata e puntuale in modo da consentire il controllo della connessione tra la durata temporanea della prestazione e l’utilizzazione del lavoratore».

Il fatto è, però, che negli ultimi dieci anni i datori di lavoro hanno assunto con contratto a termine anche quando la temporaneità dell’esigenza lavorativa non c’era ed invero le assunzioni a termine sono state ogni anno circa l’80% del totale, mentre le occasioni di lavoro effettivamente temporanee sono state del 14%. Dunque 5 contratti a termine su 6 sono stati stipulati illegittimamente.

La ragione di questo uso «improprio» è una sola: si stipulava e si stipula il contratto a termine anche quando l’esigenza produttiva non è temporanea per tenere il lavoratore sotto il ricatto di un mancato rinnovo e, della perdita del posto di lavoro, senza neanche bisogno di licenziamento.

Ma questi datori correvano un notevole rischio: che nei 120 giorni successivi alla scadenza (come previsto dall’art. 32 della legge 148/2010) il lavoratore impugnasse il contratto a termine ottenendone la trasformazione a tempo indeterminato ed invero le vertenze sono state migliaia, quasi sempre vittoriose per il lavoratore.

Il governo Renzi, con il cd. «Decreto Poletti», ha ora legittimato l’illegalità e il ricatto sui lavoratori sancendo – contro ogni logica – che il contratto a termine si può stipulare sempre, anche se l’esigenza lavorativa non è temporanea (sono i cosiddetti contratti a termine «acausali») con l’evidente intento di sostituire man mano i «vecchi» contratti a termine impugnabili e trasformabili a tempo indeterminato, con i nuovi contratti «acausali» e perciò non impugnabili.

In questo piano c’è, però, per così dire, una crepa, in quanto i «vecchi» contratti ante – Decreto Poletti cominciano a scadere ora e scadranno man mano, nei mesi futuri secondo le scadenze stabilite, e restano, pertanto impugnabili nei 120 giorni successivi.

Ecco perché parliamo di «ultima occasione»: proprio perché sono gli ultimi impugnabili.

Ad esempio, se il vecchio contratto ante – Decreto Poletti è già scaduto il 31 agosto 2014 vi è tempo per impugnarlo entro il dicembre 2014; se scadrà, poniamo il 30 novembre 2014 potrà essere impugnato entro il marzo 2015; se scadrà nell’aprile 2015 potrà essere impugnato entro l’agosto 2015 e così via.

Ovviamente sarà meglio non ridursi all’ultimo giorno, anche perché per l’impugnazione basta una lettera raccomandata, e se poi il datore non venisse a patteggiare, conscio del suo torto, nei 180 giorni successivi si può adire il giudice, come migliaia di lavoratori hanno già fatto con successo in questi anni.

Ecco, dunque, il messaggio che mandiamo ai tanti lavoratori con contratto di lavoro a termine o somministrato nel settore privato dell’economia: fate controllare fin d’ora da un sindacato o da un avvocato la regolarità del vostro contratto precario ante – Decreto Poletti, e se risulterà, come è molto probabile, irregolare, preparate l’impugnazione da spedire entro il termine ricordato di 120 giorni dalla cessazione del contratto stesso.

Per voi potrebbe essere questa l’ultima occasione di ottenere un rapporto a tempo indeterminato ed occorre pertanto vincere ogni ritrosia, ogni pregiudizio e ogni sospetto verso sindacati, legali e vertenze, perché la posta in gioco è davvero troppo grande: si tratta di salvaguardare il vostro futuro, battendo in breccia la volontà del governo Renzi (e della troika) di condannare le nuove generazioni al lavoro «usa e getta».

Un’ultima avvertenza: quanto detto vale per i precari del settore privato mentre per i precari del pubblico impiego i problemi sono diversi, visto che lì il principio dello temporaneità dell’esigenza resta per legge, ma la giurisprudenza non consente, per lo più, la trasformazione a tempo indeterminato, concedendo solo un risarcimento del danno. Ai precari pubblici dovremo dedicare, quindi un altro specifico intervento sulle colonne de «il manifesto».