Si dimena un serpente quando muore. Si avviluppa, sbatte la coda. In una lunga danza nevrotica prima di spirare. Così si agita da mesi Hashim Thaqi, presidente del Kosovo. Il suo incubo iniziato quasi nove anni fa si chiama Rapporto Marty: 55 pagine redatte dal senatore svizzero Dick Marty su mandato del Consiglio d’Europa che chiamano in causa il Serpente (Gjarper in albanese), nome di battaglia di Thaqi, e altri ufficiali dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (Uck). Interrogatori, detenzioni, omicidi e, più grave di tutti, espianto e traffico di organi a danno di civili serbi durante e dopo la guerra del Kosovo: sono le accuse del Rapporto.

Quell’incubo sembrava aver appena scalfito il Signore del Kosovo. Per anni e con la complicità di Washington e Bruxelles, Thaqi era riuscito a costruire il falso mito dell’Uck, terroristi trasformati in martiri della libertà allo scopo di garantire l’ascesa al potere dei loro capi. Ora però che quel Rapporto si è tradotto nella costituzione di una Corte speciale per i crimini dell’Uck, il futuro di Thaqi e dei suoi non appare più così certo. Il nervosismo del Serpente era evidente l’estate scorsa, quando si sono fatte incessanti le voci di un accordo sullo scambio di territori tra Belgrado e Pristina. Alla Serbia il Kosovo del nord, popolato in maggioranza da serbi, al Kosovo la valle di Presevo, Serbia meridionale, a maggioranza albanese. Un piano probabilmente suggerito al presidente serbo Aleksandar Vucic dall’alleato russo, Vladimir Putin, che così puntava a creare un precedente per altri fronti, dalla Transnistria alla Crimea. Un piano accolto con favore anche dal premier albanese Edi Rama che negli ultimi anni sembra aver abbracciato la causa della Grande Albania più per calcolo elettorale che per convinzione. Un piano che dava a Vucic e Thaqi un’occasione d’oro: passare alla storia come i protagonisti della riconciliazione impossibile tra Serbia e Kosovo. Chi avrebbe mai osato processare e condannare il presidente della Pace?, si sarà domandato Thaqi.

Eppure il fronte ostile all’accordo si è rivelato molto più nutrito dei suoi fautori. Berlino e Londra tra le cancellerie europee, le opinioni pubbliche dei due Paesi, gli Stati balcanici come Bosnia e Macedonia del Nord che hanno al loro interno consistenti minoranze etniche, infine la Chiesa ortodossa serba che rischiava così di essere spazzata via da quel Kosovo che considera la sua culla. Con straordinario tempismo mentre la proposta di accordo giungeva a un punto morto – e si riapriva lo scontro, con i dazi unilaterali di Pristina alla Serbia e l’annuncio della nascita dell’«esercito» del Kosovo – la Corte speciale per i crimini dell’Uck iniziava a convocare i testimoni. Tra loro alcuni ex guerriglieri interrogati come indagati. Quel nome però non è saltato fuori. Per ora. Nessuno si sbilancia, eppure si fa strada l’idea che stia per finire un’era.

A pendere come una spada di Damocle sulla testa del Serpente non c’è solo il Tribunale, ma la possibilità che si vada ad elezioni anticipate già alla fine di quest’anno. Se il Partito democratico del Kosovo (Pdk), la creatura di Thaqi, andasse male, come ci si aspetta, potrebbe essere davvero l’inizio della fine con la Lega democratica del Kosovo di Isa Mustafa e Vetëvendosje di Albin Kurti alla guida del primo governo del Kosovo indipendente senza il Pdk. Un cambio drammatico che potrebbe far ripartire inchieste giudiziarie bloccate per anni su casi di corruzione di alto livello. Eppure si sa, quando i serpenti si sentono minacciati, fanno solo finta di morire per poi tornare all’attacco più spietati di prima.