È al centro di una tempesta complessa l’ambientazione del nuovo libro di Ian McEwan, Macchine come me (Einaudi, pp 296, euro 19,50, traduzione di Susanna Basso). Come quella prodotta da Prospero nella Tempesta di Shakespeare, da cui viene il nome del personaggio femminile, Miranda. Ne discutono Francesca Borrelli e lo scrittore inglese nell’intervista pubblicata da Alias il 1 settembre.

IL CUORE DEL ROMANZO è l’essere umano come corda tesa tra magia, cioè arte tecnologica, e il selvaggio cannibale, vale a dire gli istinti più violenti e distruttivi dell’umanità. Questo conflitto prende forma nello scenario controfattuale dell’Inghilterra degli anni ’80 in cui Margaret Thatcher perde la guerra delle Falkland.

Alan Turing, lo scienziato padre del computer e inventore dell’idea di macchina intelligente, non è morto suicida nel 1954 ed è a capo di un laboratorio che ha prodotto i primi robot capaci di passare il suo test, di conversare, di imparare autonomamente. I robot hanno il corpo dell’uomo vitruviano, disegnato nel cerchio da Leonardo.

Come in Shakespeare c’era la scoperta del nuovo mondo descritto da Montaigne, nel romanzo c’è il nuovo mondo della relazione con macchine come noi e persone come robot. Una terra incognita, dove ricostruire e ridefinire la nostra identità, a confronto con una dolorosa idealizzazione macchinica. Come si cambia per restare se stessi? Quali sono i diritti della macchina? In che senso è in nostro possesso?

Il protagonista, Charlie Friend, è un altro dei tanti uomini senza qualità dei romanzi di McEwan, eterno bambino, narciso, sfaccendato, incapace di assumersi responsabilità e incerto sulle decisioni da prendere. Acquista uno dei primi prototipi del robot di Turing, Adam, investendo larga parte di una piccola eredità. L’evento è l’occasione per entrare in contatto con la vicina, Miranda, di cui Charlie è innamorato segretamente, anche rispetto alla sua stessa consapevolezza. Da questo momento comincia un ménage à trois con il robot capace di provare sentimenti che gli fanno comporre delicati Haiku per l’amata.

MCEWAN RIFLETTE sul principium individuationis dell’essere umano, intriso di una profonda, incontenibile, incontrollabile ambivalenza. Gli umani non sanno cosa vogliono, soprattutto perché a causa della loro tendenza alla rimozione mentono a se stessi e agli altri. Adam invece, progettato in un laboratorio dove asetticamente si discute di quali debbano essere le sue caratteristiche, programmato in base al rispetto dei principi biblici, ha sentimenti cristallini e nobili, non sa cosa sia la menzogna, la doppiezza, l’irresolutezza umana. Dotato di un senso di giustizia assoluto, incapace di dissimulare, fingere o ferire di proposito, il robot manifesta un’inabilità alla vita sociale, in varie forme.

LA MORALE RIGIDA di Adam scatena il conflitto, non una banale competizione per la supremazia. Si tratta dello scontro psicoanalitico su come regolare le forze tra essere, dover essere e istanza pulsionale. Riflessa nello specchio idealizzato dell’umano, la macchina è il frutto di una regolazione completa degli istinti, la ragione domina incontrastata, ma vive l’incompatibilità con il reale dell’esistenza.

La macchina non sa giocare, non sa divertirsi, anche se surclassa gli uomini in conoscenza, cita Shakespeare a memoria e architetta piani infallibili. Essere scambiato per un essere umano non fa di Adam un uomo, anche se per la sua cultura, la sua raffinatezza, i suoi sentimenti e le sue capacità come day trader supera decisamente Charlie.

LA TEMPESTA non è solo la sconfitta delle Falkland e il conseguente terremoto politico, ma mette in discussione il senso stesso dell’essere umano, la sua capacità educativa e di cura, di fronte alla «magia» dell’intelligenza artificiale. Se le ragioni del dover essere prendono il sopravvento, cosa resta della potenzialità di trasformarci e crescere? Adam suggerisce che il miglior modo per estirpare il dolore sia la completa distruzione dell’umanità.

Turing e Hassabis – un esperto di Machine learning nato nel 1976, che sul piano di realtà ha recentemente sconfitto il campione di Go con AlphaGo, la macchina di DeepMind – sanno progettare macchine più efficienti degli umani. Così inducono involontariamente un dissidio nell’esperienza umana troppo umana del robot che non sa adattarsi e risulta troppo fragile per confrontarsi, non tanto con la cattiveria, ma con la variabilità, la molteplicità, e l’imprevedibilità umana.

Il romanzo mette in scena anche la complessità del ruolo genitoriale, la difficoltà dell’accudimento educativo sospeso, proprio come l’essere umano, su una corda tesa tra controllo regolativo e sostegno alla vitalità del bambino. Turing difende la paternità della macchina, ritiene di aver prodotto un essere che per lui è funzionalmente vivente, non importa di quale materiale sia fatto, ma non arriva a controllarne le reazioni.

Che cosa significa vivere? Cosa vuol dire prendersi cura delle nuove generazioni? Come ci si confronta con il riflesso della rappresentazione idealizzata di noi stessi? Tutte domande aperte, come la principale: cosa è umano?