Dopo giorni e notti di paura nel campo profughi di Maghazi, Ahmad Andrea al Dowi, giovane avvocato palestinese naturalizzato italiano ha avuto ieri, durante la “finestra umanitaria” di sette ore concessa da Israele, qualche attimo per respirare, assieme alla moglie e al figlioletto di pochi mesi. E’ uno sfollato come tutti gli altri. A Gaza sotto le bombe i titoli di studio, la cultura, le buone maniere non contano, o almeno non contano ora. Tutti uguali davanti ai cannoni dei carri armati. Ricchi e poveri, uomini e donne, palestinesi e occidentali, come ha dimostrato l’uccisione di giovane volontario britannico due giorni fa nell’inferno di Rafah. Al Dowi da settimane cerca di uscire dalla Striscia, di andare in Italia, per raggiungere la famiglia che lo adottò da ragazzo, per salvarsi e soprattutto per salvare la sua famiglia. Le autorità militari israeliane al massimo sono disposte a far uscire lui dalla Striscia. Per la moglie e il figlio niente da fare. Dalla prigione di Gaza non si esce, sia dal valico di Ezer che da quello di Rafah gestito dai “fratelli” egiziani guidati dal padre della patria Abdel Fatah al Sisi. L’avvocato di al Maghazi, una delle località più sotto tiro, al massimo può aspirare a trasferirsi a Gaza city, in un quartiere meno colpito dai raid aerei e dal fuoco dell’artiglieria ma non meno a rischio. E come gli palestinesi può solo sperare che tutto ciò finisca presto ma non senza un cambiamento radicale per la condizione di Gaza. Perchè lui e la sua famiglia hanno il pieno diritto di viaggiare in libertà, come ogni essere umano.

 

Anche Sami Abu Omar, di Bani Suheila, alle porte di Khan Yunis, è sfinito. Ieri ci parlava al telefono con un filo di voce. Quelli di Sami, collega sempre ben informato, sono alcuni dei nostri occhi a Gaza da quando due giorni fa abbiamo lasciato la Striscia. «C’è tantissima stanchezza – ci raccontava – quando è cominciata la tregua di sette ore la gente è uscita di casa, si è riversata nelle strade, voleva respirare, perchè è sempre più dura. Tanti sono andati al mercato, ad assicurarsi che fratelli e amici siano ancora vivi. Chi ha ancora qualche risparmio in banca è andato a ritirarlo perchè le cose potranno solo peggiorare, nessuno si fida più degli annunci del cessate il fuoco. Israele vuole continuare i suoi attacchi, forse per mesi». Sui volti di uomini, donne e bambini c’era la stanchezza per un conflitto che nessuno avrebbe mai previsto così lungo e devastante.

 

Le sette ore di calma (relativa) sono servite alle organizzazioni umanitarie, che ne hanno approfittato per distribuire in condizioni di maggiore sicurezza gli aiuti agli oltre 400mila sfollati, di cui 200mila nelle scuole dell’Unrwa. Nelle zone di Gaza, come Rafah Est e Khuzaa, dove Israele continua le operazioni militari, non ci sono state neppure queste ore di calma. Da venerdì a Rafah sono morti oltre 200 palestinesi e riecheggiano ancora le condanne dei vertici dell’Onu per i colpi sparati due giorni fa dall’esercito israeliano in direzione di un’altra scuola delle Nazioni Unite dove hanno ucciso 10 persone. Del massacro compiuto a Rafah si continuerà a parlare a lungo, perchè è strettamente legato alla vicenda del tenente Hadar Goldin, proclamato ufficialmente “caduto in combattimento” nella notte tra sabato e domenica. Vicenda che dovrà essere chiarita, senza dubbio in ambito internazionale, perchè l’esercito israeliano ha comunicato di aver aperto il fuoco su Rafah dopo la sua cattura da parte di Hamas, allo scopo di impedire ai suoi “rapitori” di portarlo via. Ma Goldin era ancora vivo? Soprattutto, i comandi militari israeliani sapevano fin dall’inizio che l’ufficiale era rimasto ucciso subito nell’agguato portato di combattenti di Hamas? Dare una risposta a questi interrogativi è fondamentale. Perchè se l’esercito israeliano sapeva sin da subito della morte immediata di Goldin, ciò vuole dire che il fuoco indiscriminato aperto sulla parte orientale di Rafah è stato una tremenda vendetta a danno di civili innocenti per l’uccisione del militare e di altri due soldati commessa da Hamas durante una presunta violazione della “tregua umanitaria” di 72 ore annunciata la notte prima. Senza sottovalutare che mezzo mondo, incluso il pimpante e sempre ben informato in politica estera Matteo Renzi, si è stretto intorno a Israele nella richiesta della liberazione immediata del tenente Hadar Goldin, “rapito” dall’ala militare di Hamas che da parte sua negava.

 

Così come dovrà essere valutato in ambito internazionale il rapporto di Human Right Watch che accusa i militari di Israele di aver sparato su dei civili in fuga nel villaggio di Khuzaa. Hrw riferisce alcuni episodi avvenuti tra il 23 e il 25 luglio. In un caso «le forze israeliane hanno ordinato a un centinaio di palestinesi di lasciare le case dove avevano trovato rifugio. Ma quando il primo palestinese è uscito, con le mani alzate, gli hanno sparato», scrive Hrw. In altri casi «i militari hanno aperto il fuoco su gruppi di persone in fuga».

 

Ieri a Shujayea, Khuzaa e Beit Hanun, ci raccontavano testimoni, la gente ha approfittato della “finestra umanitaria” per toccare con mano la vastità delle distruzioni avvenute il mese scorso nelle zone della Striscia vicine al confine. Ovunque si avvertiva ancora in maniera opprimente l’odore di morte, perchè sotto le macerie vi sono molti cadaveri che devono essere recuperati. Quando questa carneficina avrà termine e si potranno controllare con calma i numeri di morti e dispersi emergerà la drammatica realtà di un bilancio di palestinesi uccisi decisamente più alta rispetto anche alla più pessimistica delle previsioni. Tra le macerie delle case abbattute a cannonate e che puzzano di cadaveri in putrefazione, la gente cerca ancora di recuperare ciò che può, tutto ciò che potrebbe essere utile in futuro: abiti, qualche oggetto, documenti importanti. A Beit Hanun ieri l’esercito israeliano ha autorizzato il ritorno degli abitanti e molti hanno colto l’invito per dare un’occhiata in giro, per cercare qualcosa tra le rovine delle proprie abitazioni. Ma nel pomeriggio, quando la tregua stava per scadere Beit Hanun è diventata una città fantasma dove nessun essere umano potrebbe pensare di trascorrere la notte, peraltro senza elettricità e acqua. Un po’ di vita “normale”, ci hanno raccontato, si è vista nel centro di Gaza city dove per la prima volta in quasi un mese ha timidamente aperto qualche caffè nel centro e sul lungomare. «Abbiamo ripreso le nostre attività contro le strutture terroristiche di Hamas nella Striscia di Gaza», con questo laconico comunicato il portavoce dell’esercito israeliano Peter Lerner ha ufficializzato la fine della tregua umanitaria. Hamas, che la tregua non l’aveva accettata, per tutto il giorno ha lanciato razzi verso il territorio israeliano, facendo risuonare le sirene di allarme in molte località vicine alla Striscia.

 

Ieri sera Gaza è rimpiombata nella paura, nell’angoscia di notti di bombardamenti e raid aerei che appaiono interminali anche nelle aree meno prese di mira. La voglia di vivere, di convincersi che ormai il peggio potrebbe essere passato, si scontra con la realtà di una offensiva israeliana che appare senza fine. Il premier israeliano Netanyahu, che ieri ha visitato il Comando sud dell’esercito, ha ribadito che le operazioni andranno avanti fino a quando non saranno distrutte tutte le gallerie sotterranee usate da Hamas e non cesseranno i lanci di razzi. Insiste nel chiedere la completa smilitarizzazione di Gaza, persino per autorizzare la ricostruzione del territorio palestinese. Il governo israeliano sa che accettando ora la tregua permanente si esporrebbe alle critiche feroci di una folta schiera di esperti e analisti che insistono per continuare l’attacco “alle strutture di Hamas”, nonchè di esponenti dello stesso esecutivo, come i ministri Lieberman e Bennett, che chiedono la rioccupazione di tutta la Striscia, di fare un salto indietro di nove anni e di annullare il “ridispiegamento” di soldati e coloni voluto da Ariel Sharon. Senza dimenticare che l’opinione pubblica israeliana si mostra perlomeno indifferente alla sorte di “loro”, gli scomodi “cugini”, i civili palestinesi. Ieri sera l’agenzia Mena del “fratello” Egitto, ha riferito che responsabili palestinesi hanno annunciato che una “tregua umanitaria” entrerà in vigore oggi alle 8 per durare 72 ore, a patto che i negoziati comincino durante tale periodo di calma. Ma Israele a quel tavolo di trattativa non ha alcuna intenzione di andarci.