È di nuovo lui a fare i titoli per il Pd. Renzi torna su un palco, al Teatro Elfo di Milano, e attacca frontalmente Salvini sull’Affaire Metropol. «Se quei soldi, uno che stava con Salvini, sovranista, li ha chiesti, questo è alto tradimento nei confronti del nostro paese. E su questo alto tradimento di Salvini e dei suoi collaboratori bisogna avere la forza di chiedere spiegazioni». L’occasione è la prima uscita pubblica dei suoi comitati, il tema dell’assemblea sono le fake news. Renzi chiama a una campagna di combattimento – anche in tribunale – sulle fesserie che si scrivono sul suo conto. È il mattatore di sempre: «A Salvini lo dico in russo: Tovarish Salvini, glastnost». «Trasparenza», grida a squarciagola. Ma nel grido c’è l’accusa al Pd di «non avere la forza» di mettere all’angolo Salvini. Che per lui invece è il tema perfetto per tornare in scena. «Non credo che la Lega abbia preso dei soldi, 65 milioni, ma non è il punto. Il punto è che membri della delegazione del vicepremier e ministro dell’Interno quei soldi ai russi li hanno chiesti. Se li hanno dati è corruzione internazionale, finanziamento illecito».

Teatro gremito, entusiasmi da concerto rock. L’ex segretario ha accarezzato l’idea di abbandonare il partito con i suoi fedelissimi. Poi, sondaggi alla mano, ha capito che sarebbe stato un flop. Ed ora torna alla riconquista del Pd. I suoi nel Pd sono un po’ meno, ma compatti e tetragoni a qualsiasi critica. Renzi non li delude, e rispolvera l’armamentario di sempre. Prima fra tutti: la polemica con i gufi. Se il Pd ha perso è perché «una parte dei nostri, autolesionisticamente, era troppo impegnata a riprendersi la Ditta e ad accusarci di non essere abbastanza di sinistra». E se le forze al governo reggono nonostante tutto è perché «a differenza nostra non hanno nessuno che fa polemica interna, mentre la nostra opposizione non contesta le loro politiche e non rivendica i risultati positivi dei nostri governi». Lui e i suoi hanno fatto lo stesso con il nuovo segretario, ma pazienza. Renzi accusa il Pd di Zingaretti, che non nomina, di non rivendicare i risultati del suo governo e di non mettersi in continuità con le sue riforme. È una lettura ottimistica, ma c’è del vero.
Ma ora c’è un fatto nuovo con cui l’assemblea nazionale del Pd, oggi a Roma, dovrà fare i conti: Renzi non se ne va più, anzi è tornato. Il suo finale è inequivocabile: «Rimettiamoci in moto con energie e orgoglio entusiasmo, torneremo a vincere se smettiamo di piangerci addosso e di fare polemica». In platea, tra gli altri, c’è il sindaco di Milano Beppe Sala. «Renzi è dalla mia parte, sono altri quelli che non sono dalla mia parte. Certamente abbiamo avuto tanti momenti di discussione anche animata. È chiaro che siamo due protagonisti della nostra area politica», dice senza falsi pudori. «L’ho trovato come lo conosciamo: tonico e molto volenteroso di fare cose. È il mio stesso animo»