Ma come fa Galli della Loggia (Corriere della Sera, 3 aprile), facendo leva su episodi certamente discutibili, ma comprensibili – abbattere o danneggiare le statue di Colombo o di Churchill – ad accusare gli autori di “crassa ignoranza della storia”?

Come si può mettere sullo stesso piano i massacri e la distruzione d’intere civiltà compiute dagli europei e le loro vittime? Ragiona l’autore: poiché i negrieri africani, nel corso dell’età moderna, facevano frequenti incursioni nelle regioni interne dell’Africa, catturando giovani che poi vendevano ai mercanti europei, anche i responsabili di tale nefasta pratica dovrebbero essere messi sotto accusa. Anche gli africani hanno i loro scheletri nell’armadio. Per cui le élites che oggi demonizzano indistintamente l’Occidente dovrebbero guardare anche in casa loro.

Il ragionamento di Galli della Loggia ha degli appigli di veridicità storica, ma da questi finisce, con semplificazione logica stupefacente, per approdare a conclusioni moralmente assurde e storicamente sbagliate. “La conquista – egli scrive – l’assoggettamento di altre popolazioni, la loro riduzione in schiavitù, sono state per secoli e secoli, per millenni, la regola universalmente seguita non solo dagli europei ma da tutte le civiltà e i popoli della terra. Da tutte, a cominciare da quelle che oggi levano il dito accusatore contro «i bianchi”..

È la notte in cui tutte le vacche sono nere. Tutti i popoli della terra sono stati dei massacratori e nessuno può alzare la voce contro l’altro. Rimanendo conseguenti a tale ragionare oggi gli ebrei non dovrebbero recriminare per le vittime dell”Olocausto, per lo sterminio di sei milioni di loro correligionari, perché il fatto rientrerebbe nella normale condotta del popolo tedesco.
Ma si può metter sullo stesso piano, poniamo, la schiavitù dei Greci o dei Romani, con la tratta degli schiavi?

Con la pratica dei conquistatori spagnoli, che per quasi quattro secoli hanno spogliato l’Africa della sua più fiorente gioventù, condannandola a una vita di lavori logoranti nelle piantagioni, un’esistenza che durava solo pochi anni? Commercio con cui hanno attivamente gareggiato le altre potenze cristiane europee?

Un immenso continente, quello dell’America Latina, è stato letteralmente annientato dai colonizzatori, perché l’intera popolazione è stata piegata a lavori estenuanti, uccisa militarmente, devastata da malattie sconosciute portate da oltre oceano. In poco tempo, a seguito di milioni di morti, è crollata l’intera demografia di grandi civiltà. Paesi come il Perù e il Messico hanno impiegato secoli per veder risorgere la loro demografia.

Non gratuitamente Tzvetan Todorov ha potuto definire la scoperta del Nuovo Mondo “il più grande genocidio dell’umanità”.
Nel Nord America? Lì, l’intero popolo dei nativi, i pellirosse, è stato eliminato con la corruzione dell’alcool, come già ricordava Tocqueville, e con la progressiva sottrazione delle loro terre. Al loro posto milioni di neri importati sono stati messi a servizio della nazione americana e ancora oggi non riescono a ottenere piena dignità nel paese che hanno contribuito a costruire con le loro fatiche. E Galli della Loggia li accusa di costruire un falso “paradigma della «vittima»”?

Ma quel che poi si dimentica è che la devastazione compiuta dal colonialismo euorpeo è ben più radicale e profonda e dura ancora con esiti drammatici. Come aveva ben capito Karl Polany, la “ferita mortale” inflitta dagli europei ai popoli colonizzati è l’annientamento della loro cultura, la distruzione del loro sistemi di valori e di senso della vita che li aveva orientato per secoli: “Le masse indiane nella seconda metà del diciannovesimo secolo non morivano di fame perché erano sfruttate dal Lancashire, morivano in grande numero perché la comunità del villaggio indiano era stata distrutta”.

Le vaste ondate di immigrazione che oggi investono l’Europa, la vecchia fortezza dei colonizzatori del Mondo, non sono solo motivate dalle guerre che questi continuano ancora a scatenate nelle ex colonie. E non solo per i problemi economici creati da una politica di sfruttamento neocoloniale che è durata per tutto il Novecento e dura ancora in varie forme.

Ma anche perché lo scintillante universo pubblicitario delle nostre società opulente ha invaso l’immaginario delle popolazioni del Sud, che si sono ritrovate misere, sradicate dai loro punti di riferimento, dal loro passato, dal loro universo culturale, proiettate verso un futuro in cui possono avere un ruolo solo come stranieri e subalterni.