La speciale attrazione che New York esercita da tempo come una potente calamita per artisti o scrittori, americani e non, è nota quanto il suo skyline e le sue strade “fumanti” piene di taxi e frotte di pedoni. Dal fascino della cosiddetta “città che non dorme mai” nasce anche il personale ritratto che il cartoonist Peter Kuper ha messo assieme nel suo ultimo libro Drawn to New York, pubblicato nei mesi scorsi dalla californiana PM Press. Luci ed ombre della Grande Mela, raccontata non tanto ripercorrendo gli ultimi decenni vissuti in città in maniera cronologica, ma alternando lo scintillio della superficie con il suo lato più oscuro, gli homeless a Times Square e gli skaters al Central Park, la devastazione dell’11 settembre e il trambusto della vita di ogni giorno. “Come disegnatore e autore di graphic novel”, scrive l’amico e collega Eric Drooker nell’introduzione, “l’arte di Kuper riflette la griglia in sequenza di Manhattan. Ogni finestra racconta una storia, e le file di riquadri e di infiniti angoli retti finiscono per formare una mappa del viaggio di un uomo attraverso il labirinto moderno.”

In una colorata e curatissima veste cartonata, Drawn to New York raccoglie la crescita creativa di Kuper selezionando il meglio dell’eclettica produzione relativa alla caotica metropoli che lo ha adottato alla fine degli anni settanta e che non ha mai smesso di ispirarlo. Brevi storie a fumetti dai diversi stili e tecniche che hanno segnato la sua carriera, dal bianco e nero dei primi tempi al colore spray e il collage con cui ha definito un’estetica personale ed efficace, intervallati con illustrazioni di periodi diversi e qualche quadro, ma soprattutto con la miriade di pagine disegnate sul suo sketchbook divenuto negli ultimi anni un compagno inseparabile. Kuper ha alle spalle svariate graphic novel, ha collaborato con grandi periodici, quali il Time o il Newsweek, e continua a pubblicare World War 3, che ormai da decenni raccoglie il fumetto politicamente più impegnato, mentre partecipa a una moltitudine di pubblicazioni indipendenti e ogni mese disegna la storica serie umoristica Spy vs Spy per Mad magazine. Sempre in giro per il mondo e con un pubblico che travalica i confini nazionali, più di un suo volume è uscito anche in Italia, dove di tanto in tanto manda cartoline attraverso la sezione graphic journalism del settimanale Internazionale. Lo abbiamo incontrato nei pressi della School of Visual Arts sulla ventitreesima strada, dove insegna da anni.

Come è nata l’idea per questo nuovo libro?

Ho vissuto due anni a Oaxaca, in Messico, durante i quali ho realizzato una sorta di diario visivo sulla mia permanenza lì. Quando sono tornato a New York avevo uno sguardo diverso sulla mia città. In Messico continuavo a disegnare ossessivamente sul mio sketchbook e al mio ritorno ho cercato di mantenere quell’abitudine. Ho pensato che se avevo fatto un libro su Oaxaca dopo averci vissuto per due anni, di certo ne potevo fare uno su New York dopo trentasei!

Soprattutto per gli artisti, New York dalla metà del secolo scorso è diventata una meta sempre più ambita, tu come ci sei finito, dato che sei originario di Cleveland?

È sempre stato un posto in cui sognavo di vivere sin dalla mia prima visita quando ero un bambino. Iniziai ad andarci regolarmente per le convention di fumetti nel 1971, quando avevo tredici anni, e ho continuato fino al 1977, anno in cui mi sono trasferito. Per quanto non sia semplice vivere qui – specialmente a Manhattan – visto che è molto costosa, io non conosco altro posto nel quale vorrei davvero stare.

Una città molto diversa rispetto ad oggi?

Quando mi sono trasferito a New York la città era finanziariamente in bancarotta, imperversava un serial killer chiamato Son of Sam e c’era uno sciopero della nettezza urbana con topi ovunque. Times Square era una zona pericolosa e durante il primo mese ci fu un black-out con saccheggi in giro per la città. Un paradiso!

Oggi New York è molto più pulita e sicura ma nello stesso tempo qualcosa è andato perso. Di questi tempi è molto più difficile arrivare in città e farsi strada senza avere dei soldi, così sono pochi gli artisti in grado di vivere a Manhattan, stanno tutti nel Queens e a Brooklyn. Quell’ambiente che ha aiutato a dare ispirazione a così tante persone è sempre più un posto soprattutto per ricchi. Naturalmente, come i fiori che crescono nelle crepe del cemento, ci sono ancora artisti che ce la fanno e la spinta creativa della città è sempre viva.

New York ricorre nel lavoro di artisti di ogni tipo. Come ha influenzato la tua arte?

Amo New York anche per la velocità con cui si trasforma, stimolando la mia voglia di sperimentare e cambiare nel lavoro e gli argomenti che tratto regolarmente. La città è in costante movimento e ci vuole una reazione mutevole per restarci al passo e apprezzare di vivere qui. Se non ti piace il cambiamento, New York non fa per te!

Artisti come Saul Steinberg, ritraevano la città in maniera così distintiva che ancora ne vedo degli aspetti attraverso il suo lavoro. Molto spesso mi sento proprio come se stessi camminando in un set cinematografico quando passeggio per la città. Persino dopo tutto questo tempo mi sento un turista, e mi piace. Basta uscire dalla porta di casa ed è un’esperienza sempre nuova.

Oltre a molte storie a fumetti, il tuo libro è pieno di splendidi schizzi e disegni. Qual è il significato del lavoro sul tuo sketchbook nel tuo processo creativo?

Lo sketchbook mi dà l’opportunità di vedere il mondo che mi sta attorno. Molte volte i miei disegni rivelano dettagli ed aspetti della realtà che mi circonda che non avrei mai notato se non mi fossi messo a disegnarla. Disegnare in mezzo alla strada offre un’interazione molto più grande con l’ambiente che ci circonda. I suoni e gli odori s’infiltrano nell’opera. La gente che reagisce a me che disegno e la qualità di tutto ciò che accade in quel determinato momento è qualcosa che posso raggiungere solo mettendo me stesso nell’ambiente. Stando seduto nel mio studio o cercare di catturare la città da una foto non mi porterà mai a quello.

Utilizzi tecniche sempre più diverse, stencil e collage, acquarelli o matite colorate, che spesso finiscono per intrecciarsi sulla stessa pagina…

Ho capito che mi annoio se faccio la stessa cosa troppo a lungo. Questo riguarda sia le tecniche artistiche che i generi. Se faccio un lungo lavoro senza parole, di solito per il successivo progetto voglio fare qualcosa con il testo. Se faccio qualcosa di serio e importante, in genere dopo passo a qualcosa di più leggero e umoristico, per quanto ciò che io considero umoristico sia spesso piuttosto cupo. Ho cercato di sperimentare con diversi strumenti per tenermi fuori dal mio ambiente sicuro. Mi piace lavorare con approcci che nascondono sorprese fino alla fine. L’ho fatto per anni con lo stencil dato che la vernice spray può essere controllata solo fino a un certo punto, nonostante ora abbia smesso di usarla perché è troppo tossica. Mi piacciono gli incidenti felici che succedono usando certi strumenti. È un processo di scoperta che amo.

Nel libro ci sono anche alcuni dipinti, su vetro…

Un giorno che ero alle prese con una scadenza importante mi misi a guardare fuori dalla finestra del mio appartamento per non lavorare. Di colpo notai quanto le cornici delle finestre assomigliassero ai riquadri dei fumetti. Al tempo in molti edifici le stavano giusto rimuovendo per sostituirle con modelli più efficienti, per cui trovavi per strada quelle che buttavano. Chiesi anche a degli amici che lavoravano nelle costruzioni se potevo avere quelle che andavano sostituendo. Alla fine feci una ventina di dipinti su diverse tipologie di finestre. Ognuna aveva un carattere unico che mi suggeriva le immagini da creare. Ne ho ancora diverse da qualche parte. Mi basta guardare fuori dalla finestra per avere tonnellate di idee e non appena trovo il tempo…

Cosa ne pensi dell’arte contemporanea?

Non è una domanda a cui posso dare una risposta generica. Di sicuro c’è un sacco di robaccia che passa per arte. Mi vengono in mente dipinti a pallini di Damien Hirst, ma anche un artista come Banksy fa parte del mondo dell’arte, per cui è una questione di lavoro personale. È un periodo dove gli artisti possono fare grandi cose e credo che si vedranno esempi che funzionano o che falliscono come è sempre stato. Io scommetto ancora sul fumetto come forma artistica. Sconfina sempre più nel mondo dell’arte e potrà solo crescere d’importanza come forma d’arte che tocca le persone. Li puoi trovare in ogni area, dalle fanzine autoprodotte alle pareti dei musei.

Come pensi che disegnerai i futuri decenni di New York?

Per quanto la città sia in cambiamento continuo, ci sono aspetti che rimarranno sempre gli stessi. Disegnerò ancora gli homeless, magari su marciapiedi galleggianti, come disegnerò sempre la gente in metropolitana, anche se viaggerà a cento miglia al secondo!