«Con tutto il rispetto per D’Alema e Bersani non è che se non ci sono loro non ci sono i Ds». Facendo spallucce come un giovanotto al bar, Matteo Renzi in un colpo si libera di due big in realtà già rottamati, riesumati giusto per sferrare il calcio finale. «Torrente impetuoso» torna dunque a scorrere, ammesso che si sia mai fermato. Complice la campagna per le regionali, il Renzi che ieri pomeriggio risponde a Repubblica Tv è un fiume in piena. Si spericola senza temere contraddizioni. Come sullo scandalo delle liste campane: «Alcune liste che sostengono De Luca hanno candidati che non voterei nemmeno costretto», dice, perché sono «impresentabili» e «ingiustificabili» e lo «imbarazzano», ma «Le liste del Pd sono pulite». Poi se la prende con la «sinistra masochista» ligure (il candidato ex Pd e ora anti-Pd Pastorino e i suoi grandi elettori Civati e Cofferati), rea di voler «rianimare Forza Italia», pazienza se fu il patto del Nazareno a tenere in vita il Cavaliere, politicamente parlando.

Renzi si abbatte sulla «palude». Ma non su obiettivi a caso: il nemico scelto per la campagna delle regionali è quello che ha ancora a casa. E che invita a sloggiare. Lui, non precisamente incalzato dalle domande del cronista, nega che sia in atto l’espulsione dal Pd della famiglia ex ds: «La stragrande maggioranza del gruppo dirigente viene da lì, a partire da Orfini e Serracchiani. Il Pd è sempre stato questo, non è che la sinistra c’è solo dove c’è D’Alema. Il gruppo dirigente del Pd è plurale, non è che se non ci sono i volti storici manca la sinistra».

Ce n’è per chi è già uscito, come Pippo Civati, reo di aver aperto le iscrizioni alla sua newsletter: «Dicevano a me che personalizzavo il partito, ora vado sul sito di Civati e leggo ’aderisci a per Civati’, a una sigla. È il colmo». «È solo una newsletter», replica Civati. Ma Civati è una vicenda archiviata, oggi tocca a Stefano Fassina. L’insofferenza dell’ex responsabile economico del Pd è ormai a un punto di non ritorno. In mattinata il deputato gli ha scritto una lettera sul ddl scuola: sbagliato nell’«impostazione», non nella «comunicazione». Per lui ormai «il tracciato del Pd è insostenibile» La replica è tagliente: «Spero che Fassina rimanga, se non rimane è un problema suo non nostro». Tradotto: francamente me ne infischio.

La minoranza scatena quel po’ che può: «Renzi sbaglia. Non è un problema solo di Fassina se uno come lui ha dubbi sul Pd. È un problema di tutto il Pd», dice Roberto Speranza. «L’arroganza di Renzi è preoccupante e imbarazzante, per lui», dice Alfredo D’Attore. Che punta il dito contro il rinvio dell’elezione del nuovo capogruppo alla camera: «Non abbiamo mai discusso delle dimissioni di Speranza, non abbiamo mai discusso di una scelta grave come la fiducia sulla legge elettorale, ora apprendiamo via sms di un rinvio dell’assemblea senza motivazioni. Vuol dire che viene riconosciuto il fatto che sulla scuola ciascuno potrà esprimere la propria libera valutazione in assenza di capogruppo».

Si arrabbia anche Bersani: masochisti? «Una mistificazione, abbiamo visto che si può vincere poco, tanto, pochissimo, ma si vince essendo fedeli ai valori e ideali del centrosinistra ed essendo alternativi al centrodestra. Dall’Ulivo in poi abbiamo sempre vinto così». Gianni Cuperlo chiede «un po’ di cautela» per evitare «frasi consolatorie, buone per i comizi».

Ma la verità è che dentro il Pd qualcosa si è rotto, e nell’area renziana non c’è nessuno disposto a difendere il dissenso. La stagione del Pd plurale, comunque sia andata, è finita. Lo stesso Fassina lo certifica con rassegnazione: «Renzi vuole un Pd normalizzato al renzismo. Ma il problema non è il sottoscritto, ma la parte del popolo democratico che è già andata via dopo la svolta liberista sul lavoro, la deriva plebiscitaria sulla democrazia e l’intervento regressivo sulla scuola. Senza di loro, non senza Stefano Fassina, non è più il Pd».