Sono passate le 10 quando la sala stampa della Camera si riempie di facce tese. L’appuntamento convocato la sera prima, tra mezze ammissioni e tentativi di depistaggio, serve ad annunciare le ennesime dimissioni dai gruppi parlamentari del Movimento 5 Stelle. Ancora abbandoni? Parrebbe il nuovo capitolo di un romanzo d’appendice un po’ ripetitivo. Eppure, nella politica pop come nei serial televisivi, è tra le pieghe dei tormentoni e delle puntate che si succedono, che si nascondono gli indizi. Questa volta abbandonano la compagine del M5S nove deputati e un senatore. Sono dimissioni, ecco l’aspetto inedito nella trama del reality show pentastellato, accompagnate da un’esternazione che alla vigilia dell’elezione del presidente della Repubblica suona come un manifesto d’intenti.

L’annuncio è affidato alla bolognese Mara Mucci. Mano tremante e voce emozionata quasi contrastano con la durezza delle parole che sta per pronunciare. «Guardate quante speranze tradite, quanta sofferenza tra i cittadini, gli studenti, i lavoratori, i piccoli imprenditori – esordisce Mucci – Era per dire loro di non arrendersi, di non rassegnarsi, di unirsi e organizzarsi per cambiare le cose che era nato il Movimento 5 Stelle. Per queste stesse motivazioni oggi abbiamo rassegnato le dimissioni dal gruppo». E poi bordate alla gestione del Movimento e attacchi ai parlamentari del “direttorio”. Si parla della «impossibilità di essere utili» causata dalla linea politica del Movimento.

«È facile fare un’opposizione becera, casinista, utile solo a una ristretta oligarchia tra l’altro mai scelta né votata da nessuno», tuona ancora Mucci. Assieme a lei se ne vanno Tancredi Turco, Walter Rizzetto, Aris Prodani, Samuele Segoni, Eleonora Bechis, Marco Baldassarre, Sebastiano Barbanti, Gessica Rostellato. Si unirà al gruppo anche il senatore Francesco Molinari, che da settimane è protagonista di uno scontro tutto calabrese con l’ortodosso Nicola Morra.

Finora, per forza o per scelta, i grillini se ne sono andati quasi sempre alla chetichella. Nella maggior parte dei casi, dopo le giornate di esposizione mediatica sul trono dei “dissidenti” sono divenuti volti anonimi, facce tra le tante nel Transatlantico. Il numero, il profilo e l’urgenza del momento politico fanno pensare che stavolta potrebbe essere diverso. Dalla Toscana, dove sono stati eletti Segoni e Baldassarre, si sono registrate defezioni tra amministratori e attivisti locali. «In Calabria sono state evidenti le responsabilità di una deriva verticistica – spiega invece il cosentino Barbanti – Hanno mirato ad eliminare meetup che si spendevano con onore e dedizione». Salta agli occhi, inoltre, che tutti i dimissionari erano presenti alla convention eretica indetta dal sindaco di Parma Federico Pizzarotti nello scorso mese di dicembre.

«Abbiamo scelto di scongelarci», dicono i dieci. «I cittadini che ci hanno eletti hanno capito che non siamo stati messi nelle condizioni di agire nel loro interesse», afferma la deputata Rostellato. Vogliono «fare politica», a cominciare dalla scelta del Capo dello Stato, per questo hanno costituito l’assembramento chiamato “Alternativa Libera” all’interno del gruppo misto della Camera e incontrato Renzi. «Siamo disponibili ad appoggiare un nome che sia di garanzia per i prossimi sette anni», spiega Rizzetto. Dall’altra parte del guado, i membri del direttorio M5S si affidano, in base alle esigenze del momento, alle aperture di Luigi Di Maio e alle rotture di Alessandro Di Battista. In mezzo restano nel M5S 126 “parlamentari per caso” catapultati a Roma da Grillo. Tra alcuni di essi da qualche giorno circola il nome di Romano Prodi come candidato al Quirinale tra contrapporre all’asse del Nazareno. Il professore bolognese attira le simpatie di dissidenti e sinistre Pd, soprattutto piacerebbe al guru Gianroberto Casaleggio. Ma per rompere gli schemi di Renzi bisognerebbe mettere da parte la battaglia No Euro. E quando nel M5S è il momento di fare una scelta netta la parola non spetta mai alla base.