«Non c’è una ragione: siamo fermi senza motivo. E intanto la gente continua a morire in mare». È la frase più spesso pronunciata dai volontari a bordo delle due navi, Sea-Watch 3 e Lifeline (appartenenti alle omonime ong), che da circa due mesi sono bloccate dalle autorità nel porto di Malta. La prima, ferma a La Valletta dal 1° luglio, pochi giorni prima rientrava dopo l’ultima missione di ricognizione, per la manutenzione di routine poiché Malta è la sua base logistica. La seconda, è stata fermata in seguito al salvataggio di 234 migranti il 27 giugno.

Tra le ong e le autorità locali è in corso un duro braccio di ferro, di cui i volontari raccontano volentieri i dettagli. L’equipaggio, giovanissimo, della SW3 non sembra essere abituato ad accogliere la stampa, ma l’impaccio iniziale si trasforma in entusiasmo. Inevitabile lo scambio di opinioni sulla accoglienza europea ai migranti, sulla presa di posizione di alcuni Stati. Dalle espressioni dei ragazzi del team Sea-Watch, s’intuisce una diffusa sfiducia nei confronti della politica e delle istituzioni.

GLI ULTIMI ISTANTI DI LUCE crepuscolare sono perfetti per scattare alcune foto: la SW3 è un gigante d’acciaio lungo 55 metri e pesante 645 tonnellate; pur potendo ospitare a bordo 500 persone, ferma com’è, sembra un cetaceo spiaggiato. Dal ponte di comando s’intravede la prua rivolta verso il largo. Da quelli laterali si possono toccare i gommoni di salvataggio a motore che servono per le operazioni di soccorso. Dall’inizio della sua attività in mare, nel 2015, Sea-Watch è stata coinvolta nel salvataggio di circa 35.000 persone. Ma, da due mesi è costretta a restare ferma senza una vera ragione. Le autorità hanno parlato di errata registrazione della nave battente bandiera olandese, catalogata come ‘pleasure craft’ (imbarcazione da diporto), invece che ‘da soccorso’. «Perché è stata registrata così? Perché in nessun Paese esiste la categoria ‘nave da soccorso’ – spiega Tamino Böhm, capo della missione Sea-Watch – La distinzione è tra imbarcazione commerciale e non commerciale, cioè da ‘svago’. Per questo la pretesa delle autorità maltesi è assurda e non può essere accolta. L’unica cosa che potremmo fare – continua – sarebbe convertire in ‘commerciale’ la SW3». A quanto pare, non è così semplice: «La categoria di un’imbarcazione – prosegue Tamino – risponde a criteri ben precisi. Se questa fosse una barca per uso commerciale, il personale a bordo dovrebbe avere altre qualifiche. E poi costerebbe un sacco di soldi adeguarne la struttura». Attualmente, la nave ha un equipaggio di 10 persone tra ingegneri, medici, e tecnici. Se fosse in mare, il numero di persone necessario salirebbe a 22. Occorre capire di più sulle ragioni del fermo. Per esempio, se le accuse delle autorità maltesi non siano dovute a una impossibilità oggettiva dell’imbarcazione a effettuare soccorsi. «Abbiamo 1.200 giubbotti di salvataggio, abbastanza per salvare due navi di medie dimensioni», è la risposta severa di Tamino. «I periti hanno fatto tutte le verifiche necessarie, la barca è a posto – aggiunge Gunnar Gunnarson, capo coordinatore Sea-Watch – ma continuano a negarci il permesso per lasciare il porto».

NELLA MEDESIMA SITUAZIONE di stallo c’è anche l’altra tedesca Lifeline. Ma le circostanze, qui, sono più complesse. Oltre alla contestazione per la categoria di registrazione della nave, la magistratura maltese ha accusato formalmente il capitano Claus-Peter Reisch, alla guida dell’imbarcazione fino al 27 giugno scorso, di essere entrato in acque maltesi senza permesso e di aver effettuato un’operazione di soccorso prima dell’ok delle autorità competenti.
Giovedì scorso Reisch si è dovuto presentare al Palazzo di giustizia per un’altra udienza, a scortarlo un corteo funebre, organizzato dal team della Lifeline, spalleggiato dai colleghi della SW3, che ha percorso via della Repubblica, in pieno centro de La Valletta, in mezzo a un formicaio di turisti. A capo della piccola processione c’era appunto Reisch, dietro di lui una bara, avvolta dal vessillo europeo, sorretta da sei volontari di Sea-Watch e Lifeline. «I diritti fondamentali dell’uomo sono morti. Il capitano della Lifeline è sotto processo per aver salvato delle vite. Il soccorso in mare non ha bisogno di legittimazione politica perché non è un crimine», recita il comunicato congiunto delle due ong, letto davanti al tribunale prima dell’inizio dell’udienza. Una trovata efficace, quella del funerale simbolico, per non passare inosservati.

«Le accuse contro di noi sono inconsistenti» dicono i volontari di Lifeline mentre aspettano la fine dell’udienza. «Vogliono solo spaventarci, soffocare il nostro entusiasmo, sperando che rinunciamo all’impresa». Dopo un’ora si conclude l’udienza: un altro viaggio inutile dalla Germania per Reisch, rimandato all’11 settembre. Sotto il sole cocente delle 13, la bara e i suoi portantini si allontanano. La vita di queste imbarcazioni ormeggiate però continua, nonostante su di loro i riflettori si siano spenti. «Una nave non è come un’automobile, che puoi tenerla ferma per mesi e al tuo ritorno devi solo caricare la batteria», dice Gunnar mentre sfreccia con il furgone per tornare al porto – Ha bisogno di manutenzione, forse ancor di più quando è ferma. Per legge, a bordo deve esserci sempre il personale minimo necessario». Ciò comporta delle spese. «Oltre alla gestione ordinaria della nave – spiega – c’è bisogno di cibo e di beni di prima necessità per il team. Facciamo delle scorte e le portiamo su. Anche se la base economica è molto solida, gli introiti che abbiamo sono quelli delle donazioni e i ragazzi – dice indicando i compagni d’avventura – sono tutti volontari». Insieme alla SW3, scopriamo poi, si è fermata anche l’attività del piccolo aereo Moonbird, velivolo di proprietà dell’ong svizzera Hpi (Humanitarian Pilot Iniziative), a supporto dell’attività di avvistamento e ricerca in mare. «Le autorità hanno bloccato tutto, anche questo, senza una ragione. È inaccettabile perché lì fuori ci sono persone in pericolo e il numero di morti continua a salire», dice Tamino, che è responsabile anche della missione Moonbird. «Fino a qualche tempo fa, la macchina dei soccorsi funzionava benissimo. Ora, con il nuovo governo italiano, le pressioni internazionali sono tante e arrivano anche a Malta». Nessuno, a bordo di questo gigante metallico, sembra avere fiducia nel futuro. Tuttavia, prosegue la battaglia legale per ottenere al più presto i permessi. «Cosa farete ora?», chiediamo a Gunnar. «Stiamo pensando di trasferire altrove, lontano da Malta, la base logistica». Ma vogliamo sapere se torneranno in mare. Insistiamo: «Indiscrezioni dicono che la Lifeline sta pensando di acquistare un’altra imbarcazione per tornare a lavoro. Voi?». «Le ipotesi sono due: o l’acquisto o il noleggio. Le stiamo valutando entrambe. Vedremo. Di sicuro non molliamo».