«Il dittatore se n’è andato». Non si usano mezzi termini per riferirsi all’oligarca Vladimir Plahotniuc, fondatore ed ex-presidente del Partito Democratico moldavo che pochi giorni fa si è dimesso dalla carica. A Botanica, uno dei più antichi quartieri della capitale Chisinau, il gestore di un piccolo bar situato nel mercato rionale azzarda un’analogia: «Come si chiamava il vostro? Mussolini, giusto? Ecco, ora anche noi ce ne siamo liberati. I giochi sono fatti».

La repubblica est-europea è appena uscita da una delle crisi politiche più importanti della sua storia e, in effetti, la vittoria della neo-prima ministra Maia Sandu e delle forze che si opponevano all’(ex-)oligarca sembra oramai conclamata. In Moldavia si è verificata un’insolita convergenza: la coalizione Acum (Ora), di chiaro orientamento filo-europeo, ha trovato un accordo con il presidente Igor Dodon del Partito Socialista, realtà conservatrice molto vicina alla Russia di Vladimir Putin.

DOPO UN BRACCIO DI FERRO con la Corte Costituzionale durato circa una settimana, i rappresentanti di Acum hanno quindi assunto pieno controllo delle istituzioni parlamentari e lunedì 17 giugno hanno presentato la rosa dei nuovi ministri.

Qualche giorno prima, l’esponente del Partito Democratico Pavel Filip – che, in seguito alla decisione della Corte di dichiarare illegittimo il nuovo governo Sandu, aveva assunto anch’egli la carica di primo ministro dando vita a un temporaneo parallelismo di poteri – rassegnava le dimissioni, mentre Plahotniuc lasciava il paese passando probabilmente attraverso lo stato non riconosciuto della Transnistria.

«Senza esagerare, sono stati momenti rivoluzionari per la Moldavia», racconta il vice-presidente di Acum, e del Parlamento, Mihai Popsoi. «Plahotniuc ha organizzato delle proteste che hanno bloccato per una giornata l’ingresso al parlamento, pagando i manifestanti. In più, grazie ai suoi “contatti” nella Corte Costituzionale, ha fatto sì che il nostro governo venisse dichiarato illegittimo. Ma, ora, tali decisioni sono state cancellate e siamo ufficialmente in carica. Per prima cosa occorre rinforzare le istituzioni e rendere la nostra democrazia immune dalla corruzione: procederemo a una serie di nuove nomine e chiederemo un procuratore internazionale che possa mettere sotto accusa l’oligarca per i suoi crimini. Abbiamo dovuto scendere a patti con il presidente Dodon, del Partito Socialista, una realtà di cui ci fidiamo poco e con cui abbiamo grandi divergenze ideologiche. Difficile dire quanto reggeranno questi accordi, ma non vogliamo in alcun modo sprecare l’opportunità che si è creata: è la fine di un sistema di potere che durava da anni».

OLTRE A QUESTE NUOVE SFIDE, la Moldavia si ritrova comunque ad affrontare problemi strutturali: con il reddito pro-capite più basso d’Europa (7.104 dollari l’anno) e un tasso di emigrazione fra i più alti nel mondo (0,94 %, sebbene in calo), lo sviluppo della piccola repubblica est-europea si basa soprattutto sulle rimesse e sugli aiuti finanziari esterni. Inoltre, la maggioranza della popolazione (circa il 65%) vive ancora in contesti rurali, dove talvolta mancano sistemi fognari e acqua potabile, le strade non sono asfaltate eccetto quelle di collegamento fra i vari centri e le prospettive di lavoro “in loco” sono estremamente ridotte.

«Qua, solo se possiedi dei campi puoi fare affari e vivere bene. Altrimenti, ti devi spostare in città oppure all’estero». Nonostante le grosse differenze con Chisinau, anche la campagna sembra seguire gli sviluppi della politica nazionale. Nicolai vive con la moglie e due figli nel sud del paese, bassi tetti in amianto si alternano a vigneti e aree coltivate a grano. «Questo nuovo governo è il primo che dà un po’ di speranza, ma dobbiamo sempre fare i conti con le difficoltà quotidiane. Dal mio villaggio, metà delle persone sono andate a lavorare nelle fabbriche del capoluogo. Ma guadagnano 200-300 euro al mese (lo stipendio medio in Moldavia è di circa 335 euro, ndr), cosa puoi fare con quella cifra? Finora, chi è salito al potere ha solo pensato a rubare e spartirsi il denaro».

Nel 2014 in Moldavia scoppiava il cosiddetto “furto del secolo”, per cui lo stesso Plahotniuc è stato formalmente indagato: un’ingente frode che coinvolgeva le tre principali banche del paese e che ha provocato una forte ondata di proteste. Durante gli anni ‘90 l’oligarca si è costruito un impero economico che spazia dalle telecomunicazioni (possiede quattro delle sei reti nazionali) agli istituti di credito (è stato presidente di Victoriabank). Attraverso il suo partito, che si è trovato spesso in coalizione con altre forze nominalmente vicine a Bruxelles (in particolare, il Partito Liberale Democratico di Vlad Filat), era riuscito a guadagnarsi appoggi dall’Europa nonostante da businessman continuasse a intrattenere rapporti anche con la vicina Federazione Russa. Una serie di relazioni e appoggi internazionali che ora sembrano essere venuti meno e che, nel tempo, hanno aiutato Plahotniuc a controllare, grazie a uomini a lui vicini, potere giudiziario, Commissione elettorale, uffici anti-corruzione e banche centrali.

«Era uno schema di relazioni retto da paura e tangenti», prosegue il membro di Acum Popsoi, «ma possiamo vedere che già sta cambiando. Molti funzionari accettano di collaborare con noi e il clima di timore e riverenza che si era creato attorno alla figura dell’oligarca si sta pian piano sciogliendo, anche grazie al fatto che l’intera comunità internazionale – dagli Stati uniti all’Europa, fino alla Russia di Vladimir Putin – supporta il nuovo governo».

EPPURE, NON TUTTI sono così ottimisti. «Quanto è passato dalla fuga di Plahotniuc? Mezz’ora? Una giornata? Come faccio a dire se è una cosa buona o no?». Gli avventori di un altro locale nel centro della capitale ridono, mentre la proprietaria si dichiara in “silenzio stampa”: «Non voglio parlare di politica adesso». Per la scorsa domenica Acum aveva indetto una grande manifestazione popolare per contestare le azioni del Partito Democratico, poi però l’appuntamento è stato posticipato vista la definitiva vittoria della coalizione guidata da Sandu. «Erano attesi numerosi pullman da tutti i distretti della Moldavia», spiega infine Popsoi. «Ma il nostro obiettivo primario era garantire una transizione il più possibile pacifica. Plahotniuc controllava uomini nella polizia e nell’esercito. Senza esagerare, il paese era veramente sull’orlo di un conflitto civile».

«Quindi la gente non è andata in piazza?» – nel locale le persone sembrano diffidenti – «Noi attendiamo. Plahotniuc pensava solo a se stesso, sicuramente non al popolo. Ma vedrai che anche dall’estero tenterà qualche mossa. Il potere che ha accumulato non finisce di certo da un giorno all’altro». Nell’attesa, la neo-prima ministra Maia Sandu ha ufficialmente richiesto le dimissioni dei membri della Corte Costituzionale.