Il primo fine settimana in sala vede Dogman al secondo posto nella classifica degli incassi, un ottimo risultato, complice l’eco di Cannes, che speriamo si confermi anche nei prossimi giorni. Il cinema italiano ha ottenuto in questa edizione affermazioni decisamente positive: il premio al miglior documentario per La strada dei Samouni di Stefano Savona (alla Quinzaine des Realisateurs), il Label Europa cinema al magnifico Troppa grazia di Gianni Zanasi (sarà in sala il prossimo autunno) assegnato dagli esercenti europei, la migliore sceneggiatura a Lazzaro felice di Alice Rohrwacher (uscirà il 31 maggio) e la Palma al migliore attore per Marcello Fonte, protagonista di Dogman. E a proposito: la retorica della «bella fiaba» del povero che si trova all’improvviso catapultato nel sogno scintillante di Cannes è davvero fastidiosa. Marcello Fonte ci è arrivato lavorando, ci è arrivato nella sinergia con un regista, Matteo Garrone, che ha saputo scommettere su di lui, sulla sua voce, il suo sguardo mite, la sua gracilità stralunata al punto di fondarvi la messinscena del film (che meritava sicuramente un premio). Ma nel suo lavoro Garrone ha spesso prediletto volti sconosciuti agli attori «di punta» del cinema nostrano riuscendo a trasformare pure le star come nel sublime Il racconto dei racconti. Una scelta questa molto rara tra i nostri registi che invece finiscono per appoggiarsi al nome «sicuro» per ragioni di budget, di finanziamenti, e quant’altro perdendo così potenzialità, facce che potrebbero essere storie diverse.

 

Del resto tutti i cineasti che si sono affermati sulla Croisette sono «eccentrici» rispetto a un certo sistema del cinema italiano – Savona addirittura, pur rimanendo saldamente ancorato alla «sua» Palermo vive a Parigi da molti anni – se si vanno un po’ a guardare le filmografie che li hanno portati sin qui. Non parliamo di «outsider» ma di registi che accordano i loro diversissimi sguardi a più riferimenti, che non sono solo la «commedia all’italiana» pure se fanno commedia con divertita irriverenza – come il caso di Zanasi che ha anche un talento speciale per gli attori. Che lavorano sul paesaggio, che trasfigurano la realtà, che assumono dei rischi anche quando l’esito è incerto.

 

Questo dato è molto importante perché illumina un movimento nell’immaginario nostrano in atto ormai da diversi anni, di cui gli autori in questione sono ora la punta visibile, che continua a avanzare sui bordi, nei microcosmi, laddove per pigrizia non si guarda a sufficienza, e intanto stanno crescendo talenti, nuove generazioni di registi. Si vedrà.

 

 

E il festival? Quale saranno le sue coordinate dopo questa edizione «di passaggio» e di polemiche (l’annullamento delle anteprime stampa, i no selfie, il no-Netflix ecc …)? Anche questo è difficile a dirsi. Di certo rispetto al presente, ai nuovi equilibri di mercato, di date, al rapporto con gli altri grandi festival – vedi la Mostra di Venezia – dovrà rivedere alcune strategie. Che non sono solo, come scrive «Variety» indirizzandosi al delegato Therry Frémaux un «maggiore impegno» sul cinema americano la cui assenza è a loro avviso tra le cause principali di una debolezza della manifestazione. Secondo «Libération», uno dei maggiori quotidiani francesi invece il palmarés non ha premiato le poche sorprese – Burning di Lee Chang-dong, Plaire, aimer et courir vite di Christophe Honoré, Un couteau dans le cœur di Yann Gonzalez.

 

Quest’ultimo, arrivato nel finale in una griglia affollatissima – il décalage tra proiezioni galà/stampa non ha aiutato – c’è chi lo ha odiato e chi invece amato incondizionatamente. Ma la storia di Anne (Vanessa Paradis), voce roca e bottiglia sempre alle labbra), regista porno gay nella Parigi del 1979 come ogni oggetto «post» che in una superfice vintage dialoga con la contemporaneità rivendica per definizione reazioni contrarie.

 

Gonzalez nel suo universo mette insieme molte citazioni, De Palma, Argento, il b-movie e il cinema sperimentale come quello di Jack Smith , e poi le canzonette e i look dell’epoca saltando continuamente dietro e davanti allo schermo: la sala è lo spazio della visione e dell’identificazione, in sala si va per rimorchiare e per fare sesso, è «sperma e acqua fresca»,sentimento grottesco e capovolgimento della realtà.

 

La vita di Anne e dei suoi attori viene sconvolta da una serie di misteriosi omicidi. Anne è distrutta dalla fine della sua storia d’amore. A ciascuno il suo coltello (nel cuore). Lei con un certo cinismo traduce i fatti nei film cambiando il genere (i poliziotti machi) o forse dando «corpo» ai fantasmi. Ma il cinema è narrazione o realtà? Che è questo il punto: se credere che i film debbano reinventare la vita nel romanzo della narrazione se o piuttosto ne siano la «copia». Una questione fondamentale.