La strage di Rivarolo Canavese solleva più di un interrogativo sulle norme che regolano la detenzione di armi e su un fenomeno crescente negli ultimi anni: gli omicidi-suicidi in famiglia con armi legalmente detenute. I fatti innanzitutto: sabato scorso un anziano pensionato di 83 anni, Renzo Tarabella dopo aver ucciso a colpi di pistola la moglie, Maria Grazia Valovatto di 70 anni e il figlio disabile Wilson di 51 anni ha sparato e ucciso i proprietari dell’appartamento in cui viveva, Osvaldo Dighera di 74 anni e la moglie Liliana Heidempergher di 70 anni e poi ha tentato di suicidarsi. Non è ancora chiaro il motivo, ma l’arma utilizzata è una pistola semiautomatica regolarmente detenuta: nonostante la presenza del figlio affetto da disturbi psichici, l’anziano era solito tenerla in bella vista in casa.

Mentre, secondo i dati Istat, gli omicidi in Italia sono in costante calo dagli anni novanta, tanto da aver raggiunto nel 2019 un minimo storico e, con un tasso di 0,53 omicidi volontari ogni 100mila abitanti, il nostro Paese è oggi uno dei più sicuri in Europa, permangono invece costanti gli omicidi in ambito famigliare e relazionale: sono stati più 150 nel 2019, poco meno della metà di tutti gli omicidi (315 casi).

Le statistiche però non riportano un dato fondamentale: il numero di omicidi commessi con armi regolarmente detenute. La rilevanza di questo elemento risalta dalle informazioni raccolte nel database online dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere (Opal) di Brescia. Nel triennio 2017-19 sono stati almeno 129 gli omicidi commessi con armi regolarmente detenute a fronte di 91 omicidi di tipo mafioso e di 37 omicidi per furto o rapina. In altre parole, oggi in Italia è più facile essere uccisi da un legale detentore di armi che dalla mafia o dai rapinatori. La gran parte di questi omicidi avvengono in famiglia e almeno uno su quattro sono commessi da anziani legali detentori di armi spesso per stanchezza e solitudine, ma anche per rabbia e rancore.

Tutto questo dovrebbe portare all’attenzione pubblica e del legislatore il problema delle norme che regolano la detenzione di armi: oggi, infatti, tutto si basa su una autocertificazione controfirmata dal medico curante, una breve visita presso l’Asl, simile a quella per ottenere la patente di guida, e da un controllo da parte della questura, circa la «affidabilità» di chi richiede la licenza per armi. Non è prevista, di solito, alcuna visita specialistica né un esame tossicologico o psichico. Non solo: le licenze per «nulla osta» per detenere armi, così come quella per «tiro sportivo» e per la caccia hanno una validità di cinque anni, sia per un giovane alle prime armi sia per un ottuagenario. Di più: in caso di mancato rinnovo non è prevista alcuna sanzione anzi, addirittura, spetta alle autorità di pubblica sicurezza notificare allo smemorato la necessità di presentare il certificato medico, cosa che può fare comodamente entro 30 giorni.

Oggi in Italia, con una semplice licenza per «tiro sportivo» o per la caccia si è abilitati ad acquistare e detenere un ampio arsenale di armi. Grazie alle modifiche apportate nel 2018 dalla Lega di Salvini con il consenso del Movimento 5 Stelle, chiunque – anche chi non pratica alcuna disciplina sportiva o la caccia – può detenere tre pistole o revolver con caricatori fino a 20 colpi, 12 fucili semiautomatici con un numero illimitato, e senza obbligo di denuncia, di caricatori fino a 10 colpi e numero illimitato di fucili da caccia. Sono norme fatte apposta per favorire i produttori e i rivenditori di armi.

A fronte di una popolazione che sta invecchiando, spesso rancorosa, talvolta abbandonata dai servizi sociali, l’arma legalmente detenuta sta diventando per molti anziani il modo più semplice per «farla finita». Mentre aspettiamo una legge sul fine vita, si dovrebbe almeno cominciare con regolamentare in modo più rigoroso la detenzione di armi togliendole almeno agli anziani a rischio.

*Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (Opal)