Maïwenn, sorella dell’attrice (molto brava) e anche regista (suo un episodio nel film collettivo I ponti di Sarajevo) Isild Le Besco, famiglia «chrismarkeriana» (sono le figlie dela magnifica icona Level Five di Marker, Catherine Belkodja) è una regista stracoccolata dalla critica d’oltralpe che ha accolto il suo precedente Polisse, una fastidiosa celebrazione glamour del machismo poliziesco, come una specie di rivoluzione dell’immaginario. Così per il suo nuovo film c’era molta attesa, e il lancio è stato privilegiato: in gara allo scorso festival di Cannes di cui la cineasta è una beniamina – nel 2011 Polisse aveva vinto il premio della giuria – con nel cast Emmanuelle Bercot (regista di A testa alta, ancora sui nostri schermi, che apriva il Festival) premiata per questo con la Palma d’oro per la migliore attrice, e Vincent Cassel.

Titolo Mon Roi, il Mio Re, per dire di una storia d’amore di quelle a tinte maso – senza troppe botte ma molti lividi e ferite del cuore e della dignità – che lega Bercot e Cassel, lui maschio stronzo-ma-fascinoso, lei donna che ha ragione ma che diviene – dalla prospettiva della regista pare parecchio autobiografica, dunque molto maso – insopportabile. Il film è: l’amore che si infrange nel quotidiano della cosiddetta vita adulta. Dunque dall’eccitazione dei primi incontri, scapigliati e felice, di feste, notti alcoliche, eccessi e stordimenti alla progressiva disfatta della convivenza, con la facciata glamour dell’eroe che si sgretola, e sfugge ai doveri imposti dal suo nuovo ruolo, compagno di vita, e soprattutto padre, mentre lei, divenuta madre, reagisce assumendo lo stereotipo della «maturità».

Potrebbe essere molte cose, passione furibonda e estremista, ma la «radiografia» di innamoramento, crisi, noia arrivo del figlio ecc ecc nella visione di Maiwenn si dipana in un susseguirsi di banalità prevedibili nella struttura narrativa – una serie di flashback mentre la protagonista, Emmanuelle Bercot, è in una clinica dopo una dolorosa caduta dagli sci – e di una riabilitazione speculare (il ginocchio corrisponde allo stato d’animo) al recupero di un equilibrio delle emozioni.

Tony (Bercot) ha incontrato Giorgio (Cassel) in discoteca, lei è avvocato, lui ha un ristorante, pieno di soldi, tipico arricchito firmato, passione per le giovani modelle diviene il «suo» Re. E come tutti i Re dispone di lei a suo piacimento: vuole un figlio ma quando arriva fugge, la lascia, la tradisce, e lei è sempre lì addicted di una droga amorosa per cui nessuna cura funziona.

Ritmo rapido, gli attori che improvvisano per assecondare il movimento amoroso di liti, odio, lacrime, urla, lasciarsi per sempre, riprendersi innamoratissimi il giorno dopo. E la brutalità di una manipolazione continua. Fuori da questo nessuna crepa, nessuna ambiguità. Forse perché, nonostante il punto di vista narrativo coincida con il personaggio femminile di Tony, visibilmente Maïwenn è sedotta dal fracasso volgare di Giorgio, anzi sta dalla sua parte, ne è risucchiata lei stessa. Niente di male, anzi, ma allora perché non dichiararlo e assumersi il rischio di ribaltare il film? Magari sarebbe stato più crudo e meno isterico di quello che è.