La settimana appena passata della moda a Milano per le collezioni femminili del prossimo inverno, spinge a una riflessione sulla rinnovata vitalità della moda italiana.

 
La moda che si manifesta nei vestiti, infatti, ha visto una maggiore attenzione alla creatività e a una maggiore puntualizzazione sui consumi. Da molto tempo, infatti, non capitava che la creatività si sganciasse dal marketing e piuttosto che riprodurre le conferme del mercato della stagione scorsa è passata a una proposta più nuova. Come al solito, è il pensiero creativo che capisce prima di quello commerciale che i consumi possono essere stimolati da proposte riconoscibili che caratterizzando il prodotto costruiscono il desiderio dell’acquirente.

 
Lo hanno fatto quasi tutti i big della moda italiana e anche i marchi indipendenti. E questa è stata una vera sorpresa. Senza fare classifiche, basta guardare le collezioni di Gucci, Prada, Dolce & Gabbana, Ferragamo, Giorgio Armani, Fendi per rendersi conto di quanta personalizzazione può parlare un vestito. Ma vanno guardati, con lo stesso scopo, anche N° 21 di Alessandro Dell’Acqua, Marco De Vincenzo, Tod’s di Alessandra Facchinetti, Jil Sander di Rodolfo Paglialunga e altri. Tutti hanno lavorato a una definizione precisa della loro donna di riferimento che non si può più leggere con il linguaggio commerciale in voga perché le loro elaborazioni sono molto distanti dall’imperante massificazione del gusto
imposta dalla norma della globalizzazione.

 
Rendendosi anche un po’ individualisti, i fashion designer si sono accorti, prima dei loro strateghi commerciali, che in presenza di una sovrabbondanza di prodotto che è un altro dei grandi problemi della moda di questi anni, la troppa rassomiglianza non paga né in termini creativi né in quelli di vendita. E questo è un risultato molto grande dovuto, a Milano, soprattutto dal cambiamento creativo di Gucci che ha rotto una tregua apparente in cui si inseriva un certo train-train quotidiano poco stimolante. L’arrivo di Alessandro Michele da Gucci, appoggiato dal Ceo Marco Bizzarri che ha condiviso una visione personale molto caratterizzante, ha rotto l’incantesimo e ha spinto tutti gli altri concorrenti a concentrarsi di più sulla propria identità.

 
Uno stimolo al confronto che ha spinto anche Miuccia Prada ad analizzare con più forza la propria radicalità e un metodo di lavoro creativo, assolutamente originale e sua caratteristica esclusiva, che antepone l’idea all’immagine per ottenere una visone attraverso il ragionamento. Come ha spinto Giorgio Armani a recuperare la propria identità e Domenico Dolce e Stefano Gabbana a insistere su una moda che allinea emozioni attraverso una rielaborazione del racconto costruito sull’abito stesso.

 
Un’altra considerazione va fatta sul grande dibattito del «see now, buy now», cioè sulla necessità di far sfilare le collezioni che sono già in negozio. È un’esigenza che hanno gli americani, dove la moda è composta per lo più da collezioni contemporary che cambiano poco da una stagione all’altra, da cui il sistema europeo, con Milano e Parigi, farebbe meglio a prendere le distanze da subito.