Se c’è un onnivoro per eccellenza forse è proprio l’uomo, che può cibarsi di ogni specie dai vegetali, agli insetti, ai mammiferi, fino a casi estremi di cannibalismo. Pur potendo mangiare di tutto l’uomo però, fin dall’antichità, sceglie di cosa cibarsi: ogni cultura infatti seleziona nella vasta gamma di alimenti potenzialmente disponibili quelli da includere nella propria alimentazione e quelli che invece sono tabù.

 

 

Questa scelta non corrisponde per forza a motivazioni di reperibilità o maggiore funzionalità degli alimenti, ogni cultura ha un suo modello alimentare in cui certe categorie di cibo sono approvate e desiderabili, certe altre invece sono rifiutate e provocano disgusto; le ragioni di queste scelte vanno cercate nella struttura sociale e gerarchica di ogni comunità e rimandano a precisi significati antropologici, psicologici e sociologici.
Essere onnivori però, da alcuni decenni a questa parte, costituisce un vero e proprio dilemma (citando Michael Pollan e il bestseller Il dilemma dell’onnivoro): cosa è giusto consumare? Cosa è sostenibile? Cosa è salutare? Proprio in questi decenni la scelta vegetariana in risposta a queste domande ha visto un fortissimo incremento. Oggi in Italia, secondo il rapporto Eurispes del 2014, si contano circa 4,2 milioni di vegetariani, ossia il 7,1% della popolazione, di cui uno 0,6% è costituito da vegetaliani, o meglio conosciuti come vegani, ossia coloro che eliminano dalla propria alimentazione tutti i derivati animali, quindi anche latticini, uova e miele.

 

 

Secondo la stima dell’Associazione Vegetariana Italiana, fondata nel 1952, la percentuale di vegetariani raggiungerebbe invece il 10% della popolazione. Sicuramente si tratta di un dato in crescita. La storia del vegetarianismo affonda le sue radici nell’India del Buddha e nasce come forma di estremo rispetto nei confronti di tutti gli esseri viventi, ma anche come forma di netta distinzione dalla classe dominante.

 

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Un altro celebre vegetariano dell’antichità è il greco Pitagora, che professava la metempsicosi. Dopo una lunga fase di stallo data dall’avvento del cristianesimo, secondo cui la natura è stata creata da Dio perché gli uomini se ne servano, la scelta vegetariana inizia a riaffiorare col Rinascimento e Leonardo Da Vinci ne è un illustre esponente. È in Inghilterra, patria della rivoluzione industriale, che nel 1847, a Ramsgate, viene fondata la prima Vegetarian Society e grazie ad essa ben presto si diffondono i termini «vegetarian» e «vegetarianism» nell’inglese comune.
Accanto alla dieta vegetariana adottata per motivi religiosi, come accade tra gli Indù, oppure per un senso di forte rispetto per la vita che sia umana o animale, oggi vegetarianismo e veganismo rappresentano sempre di più una scelta etica che vuole porsi in contrasto alle logiche di mercato e alla crescente industrializzazione che riguarda produzione, distribuzione e consumo del cibo. Tuttavia sempre di più sono anche le persone che si avvicinano alla dieta vegetariana per una moda salutista, rifiutando in primis la carne come alimento «malsano» e pericoloso. All’interno della fascia di popolazione che si dichiara vegetariana ci sono varie sottocategorie e sono molti quelli che ogni tanto chiudono un occhio: c’è chi ad esempio si dichiara veg pur continuando a mangiare pesce, chi trovandosi in compagnia non rifiuta la carne, o chi è vegano e una volta ogni tanto indulge in un gelato alla crema.

 

 

La labilità del confine e la possibilità di sgarro è spesso dovuta al controllo più o meno rigido svolto dall’ambiente circostante: condividere la scelta con un ampio numero di persone, soprattutto se il fattore ideologico è determinante, farà in modo che la si osservi con più disciplina.
Partito un po’ in ritardo, anche il mercato si sta adattando a questa nuova fetta di consumatori. Se trovare un menù vegetariano che non sia a base di sole verdure grigliate e mozzarella in Italia a volte sembra ancora un miraggio, tuttavia l’industria ha ben compreso le potenzialità di questa domanda sempre crescente. Il reparto frigo dei supermercati si adatta e fa posto a vari tipi di surrogati della carne o dei latticini, che cercano di attirare il consumatore curioso con l’uso di denominazioni che a tutti i costi sembrano non volere abbandonare la gastronomia classica e per questo sono destinati a generare spesso delusione: così il tofu (derivato dalla cagliatura del succo estratto dalla soia) e il seitan (derivato dalla lavorazione del glutine del frumento) diventano polpette, hamburger, affettato, wurstel, spezzatino e addirittura c’è qualche ditta coraggiosa che propone una fiorentina veg.

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Per non parlare poi dei surrogati dei formaggi, come il parmigiano vegano, la mozzarella di riso o il formaggio spalmabile di anacardi. Anche le librerie si riempiono di ricettari di cucina vegetariana o vegana spesso pieni di ricette a base di ingredienti esotici e in cui la soia, di nuovo, sotto svariate forme (tamari, tempeh, tofu, fagiolo, edamame), la fa da padrona.
La domanda di sostituti proteici della carne trova sempre più spesso una risposta dell’industria orientata su questo fagiolo che nasce in Cina e che oggi è uno dei prodotti più coltivati al mondo, usato nell’industria alimentare, nei mangimi per animali, nella cosmetica. Ma perché una delle colture dalla tracciabilità più mistificata dovrebbe diventare la principale fonte proteica dei vegetariani? Perché i campi italiani devono convertirsi alla coltivazione della soia e abbandonare la ricca varietà di legumi autoctoni?
Recentemente anche Mac Donald’s ha intuito il potenziale dei consumatori veg e ha deciso di inserire nel menù un panino vegetariano, da poco sbarcato in Italia. Ma cosa ci fa un vegetariano da Mac Donald’s, il nemico per eccellenza?
Wendell Berry afferma che «mangiare è un atto agricolo», anche se nella tendenza dominante è ancora un atto industriale. Scegliere di resistere a questa deriva con una precisa esclusione alimentare è un atto fortemente politico ed ideologico, chi diventa vegetariano oggi ha il cammino disseminato di trappole e il marketing le rende saporite e invitanti. Basta esserne consapevoli e non abbassare la guardia.