Memori che «a canzoni non si fan rivoluzioni né si possa far poesia», i curatori della collana I libri del Club Tenco hanno pensato bene di assumere le canzoni come possibile fonte di ricostruzioni storiche di un tema o di una particolare temperie culturale. Così è stato per l’incunabolo della collana, il volume Multifilter con due cd e 36 canzoni che hanno animato un ragguardevole affresco sulla figura del padre nelle sue continue metamorfosi, tra memorie personali e trasfigurazioni collettive. Così è stato anche per Vent’anni di Sessantotto, con altri due cd e 45 canzoni per evidenziare come lo spirito del ’68 abbia avuto in realtà un’estensione cronologica più larga, essendosi manifestato in tutta la sua evidenza quattro anni prima ed essendosi mantenuto vivo, sia pure in forme diverse, per almeno altri quindici anni. E nell’uno e nell’altro caso, un lavoro di squadra, con competenze e saperi diversi per esplicitare tutti i significati delle canzoni prese in esame; e, ancora, un ampio numero di musicisti e interpreti di nazionalità diverse per evidenziare non solo la forza espressiva ma anche la densità di contenuto dei brani; e, infine, a coordinare il tutto, il curatore/autore del volume, Sergio Secondiano Sacchi, che è anche il direttore artistico del Club Tenco.

CARATTERISTICHE
Elementi e caratteristiche presenti anche nel quarto volume della collana edita da Squilibri, Storie e amori d’anarchie, con un cd allegato e 21 canzoni per esplorare un’idea di libertà e di rivolta che ha attraversato i secoli, tenendosi lontani da ogni enfasi celebrativa e, al contrario, soffermandosi sulle molteplici incarnazioni che di quello stesso ideale si sono date nella storia, dalla tensione palingenetica e purificatrice dell’Inno della rivolta a quella più interna al mondo sindacale dell’Industrial Workers of the World, dall’illegalismo di Buenaventura Durruti e dei Solidarios all’agire sanguinario della banda Bonnot, dal respiro collettivo di un progetto politico fino al gesto solitario di un «treno lanciato contro l’ingiustizia».
21 storie d’amore, insomma, per tanti possibili tipi di anarchia, evocati in 21 canzoni affidate a un gruppo di interpreti di varia nazionalità (Juan Carlos Biondini, Silvia Comes, Vittorio De Scalzi, Dani Flaco, Julyen Hamilton, Joan Isaac, Alessio Lega, Olden, Anna Roig, Wayne Scott, Scraps Orchestra e Peppe Voltarelli), chiamati a cimentarsi con brani che spaziano tra evergreen (Addio Lugano bella), classici (Gli anarchici di Leo Ferré), canzoni sconosciute ai più (La verbena anarquista), brani di autori a torto dimenticati (Miserere capinere di Mario Buffa Moncalvo) e inediti composti per l’occasione, come El senor Buenaventura, a firma Sacchi-De Scalzi. E, per esaltare il respiro internazionale di quell’ideale, due autentiche chicche come la traduzione in catalano de La locomotiva di Francesco Guccini e la versione trilingue de La canzone del maggio, che è anche l’occasione per ripercorrere la storia di un brano presentato da De André come «liberamente ispirato a un canto del Maggio francese» ma in realtà composto da Dominique Grange, una militante dell’organizzazione anarco-sindacalista CNT-Conféderation Nationale du Travail. E, a completare il tutto, 21 tavole di Sergio Staino con un tratto brusco e immediato, in alcuni casi appena abbozzato, quasi a voler indicare anche con le immagini la forza urticante di un ideale refrattario ad ogni enfasi commemorativa e ad ogni raffigurazione compiutamente definita.

ANONIMI COMPAGNI
Disegni e canzoni accompagnano il lettore in questa scorribanda nei secoli, inseguendo il volteggiare di un drappo nero/rosso dalla Comune di Parigi fin quasi ai giorni nostri, in compagnia di autori entrati nella mitologia rivoluzionaria, da Joe Hill a Pietro Gori fino a Giuseppe Pinelli, ma senza trascurare gli «anonimi compagni» che hanno reso possibile le loro gesta e anche pagine meno note di questa plurisecolare vicenda. Veicolo di sensibilità ed emozioni collettive, le canzoni si confermano così un mezzo di grande efficacia per raccontare le trasformazioni che investono la società e per definire gli umori che si accompagnano a questi cambiamenti nel lento traslitterare degli assetti sociali, anche quando investono sentimenti di popolo e agitano fremiti di ribellione. Le canzoni, in altre parole, come concentrati di memoria e con una grande varietà di registri espressivi, dalla milonga argentina al country, dall’innodia ottocentesca fino all’elegiaca A margalida di Joan Isaac.
Storie e amori d’anarchie mantiene la promessa affidata al sottotitolo, riassumendo in una visione d’insieme «le canzoni e gli avvenimenti che raccontano un’idea di libertà e rivolta», mentre sembrano sfilare sotto i nostri occhi attivisti e visionari, banditi e ribelli di intere generazioni mai dome malgrado le ripetute sconfitte. Il volume segna anche un altro passo in avanti verso la costruzione di quella «fabbrica culturale» che, attorno alle canzoni, vorrebbero erigere gli attuali dirigenti dell’associazione fondata da Amilcare Rambaldi: una strada che dovrebbero forse percorrere con maggiore convinzione, accompagnando la promozione della cosiddetta canzone d’autore, a dire il vero oggi abbastanza lontana dagli splendori di ieri, a un lavoro di approfondimento su quanto le canzoni, senza altri aggettivi, hanno rappresentato e continuano a rappresentare nella vita degli uomini. Per la casa editrice romana, invece, un ampliamento di quel paradigma dell’oralità attorno al quale ha organizzato le proprie attività: per quanto intrinsecamente diverse dalle musiche di tradizione orale, anche le canzoni trovano la loro massima ragione d’essere nel momento performativo, quando volano veloci di bocca in bocca e diventano elemento di condivisione e comunione. E forse non è un caso che alla base di questo volume ci sia uno spettacolo, Cançons d’amor i d’anarquia, rappresentato per la prima volta al Teatre Joventut di Barcellona e poi ripreso diverse volte anche in Italia.