Con  quella di Parigi, sono terminate le Fashion Week che hanno presentato la moda femminile per il prossimo inverno. A Milano era stata chiara una riflessione della moda più sull’analisi dell’oggi che sull’immaginazione del futuro. Si pensava che Parigi, che si pretende come una piazza d’avanguardia dove la creatività vive più slegata dal business, avrebbe potuto dare un’indicazione più precisa riguardo alle prospettive che si assume un’industria globale brillante dal punto di vista del guadagno, dell’occupazione e dell’innovazione.

 

 

 

 

Invece, a dimostrazione che tutto il mondo è paese, perché nella globalizzazione vince l’appiattimento e non certo la differenza, anche a Parigi la riflessione della moda ha puntato sul presente. Il che è un peccato, perché proprio quest’anno si sarebbe potuto approfittare di una spinta alla radicalizzazione del pensiero che si avverte in altri settori culturali e prenderne le redini. Come in passato la moda ha saputo fare con risultati eccellenti: si vedano gli Anni 60 soprattutto e gli inizi dei 70. Che non a caso sono stati citati da molti designer anche a Parigi, come il giovane Fausto Puglisi per Ungaro, o mitizzati da Phoebe Philo per Céline, da Raf Simons per Dior e, in un certo senso, sia da Riccardo Tisci per Givenchy sia da Hedi Slimane per Saint Laurent. (Piccola nota: il «per qualcuno» e la parola e il significato di «lusso», sono i primi candidati a essere i killer della moda).

 

 

 

 

Ma è proprio la visione che Hedi Slimane dà con il suo Saint Laurent, che divide il mondo della moda in pro e contro fin dall’esordio alla direzione creativa nel 2012, a dare il vero significato della moda di questi anni. Tra la liberazione dalle trappole del ricordo e la fuga dalle insidie di un futuro inimmaginabile, Slimane, che firma la collezione più estrema di questa stagione, si rifà al proto-punk come se fosse un incidente estetico da cui ripartire e disegna gonne a crinolina, giacche e cappotti maschili, cappe maculate che, mischiati insieme, danno vita a un mondo socialmente liquido in cui non c’è posto per la forma perché sarebbe una sovrastruttura che frenerebbe l’avanzamento di un’estetica progressiva sempre in movimento. Questa è un’intuizione che a Slimane arriva sulla scorta del suo lavoro, anche come fotografo, che da anni svolge a Los Angeles, diventata la nuova frontiera della spregiudicatezza creativa. Ed è un lavoro soprattutto visivo che non pretende di essere intellettualizzato anche perché sa di essere passeggero.

 

 

 

 

Un risultato pressoché identico a quello di Slimane arriva non da un’intuizione ma da una riflessione di Miuccia Prada, che a Parigi presenta la sua linea Miu Miu. Avendo alle spalle studi di Scienze Politiche, Prada non può dimenticare l’analisi e risponde all’aridità del tempo con una collezione borghese-schizofrenica in cui prima di tutto conta l’errore dell’abbinamento. Nella speranza che produca un pensiero di ribellione.
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