Dal 17al 20 giugno, a Firenze si potrà vedere la mostra-evento Vezzoli P/E, trenta opere dell’artista Francesco Vezzoli dislocate in tre piccoli musei della città, Museo Bardini, Museo di Casa Martelli e Museo Bellini. Che la mostra sia organizzata da Pitti Immagine nelle date di Pitti Uomo, è solo uno dei dettagli che legano questa mostra alla moda perché le opere esposte descrivono tutte un rapporto che percorre in senso contrario le influenze fra le due espressioni creative. E cioè, qui è l’arte che attinge alla moda e non il contrario, come solitamente accade.

L’artista è molto conosciuto e apprezzato tra i protagonisti del fashion system, dove molti industriali sono diventati i nuovi mecenati, capaci anche di influenzare il mercati dell’arte quanto i famosi galleristi internazionali. Essere, forse proprio per questo, un artista molto discusso non toglie a Vezzoli il merito della ricerca (dai suoi lavori a ricamo ai Comizi di non Amore al video Democrazy con Sharon Stone e Bernard Henry-Levy alla Biennale di Venezia 2007) né il merito di aver avuto l’intuizione di utilizzare la moda come substrato compositivo delle sue opere. Vezzoli è uno dei pochi artisti che oggi rappresenta l’eterno legame tra l’arte e la moda e senza scendere in quella noiosa disputa se la moda è arte o qualcosa che le si avvicina.

Nelle sue opere, infatti, si scorge un processo creativo che appartiene totalmente alla moda nel puro significato di quella classica Haute Couture francese che ha sempre badato alla costruzione del pezzo unico sia come espressione estetica fulminante e illuminante del genio artistico del couturier sia come mezzo, strumento e risultato di una ricerca creativa che, a volte, sconfinava in risultati talmente unici da spingere l’autore nell’area degli artisti.

Fortunatamente, pur amando la moda, i designer che la fanno e il loro percorso creativo, Vezzoli non usa i vestiti per costruire le sue opere, né – nonostante il titolo della sua mostra fiorentina – si riferisce alle tendenze stagionali della moda. Come succede con le celebrities nelle sue performances (da Cate Blanchett in una sublime – ma criticatissima – performance al Guggenheim di New York, a Lady Gaga al MoCA di Los Angeles) l’utilizzo della moda funziona nel sottofondo come una colonna sonora in un film e si ferma appena prima che il concetto stesso di moda svilisca l’opera con la scadenza stagionale.

Non è un lavoro facilissimo, come del resto non è mai stato facile per gli stilisti mettersi in relazione con l’arte. Per esempio, Elsa Schiaparelli delegava ai suoi amici Surrealisti i disegni dei suoi abiti, mentre quando nel 1965 ha dedicato una collezione a Mondrian, Saint Laurent ha fatto suo il senso del pittore senza usare le tele per fare gli abiti. Così facendo, non solo ha dato la linea alla seconda metà degli Anni ’60 ma ha stabilito una regola: il dialogo tra la moda e l’arte è un gioco bello perché dura poco. Insistere sarebbe un ripetersi.
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