«Noi siamo per il maggioritario. Se gli altri preferiscono un sistema diverso discutiamone, ma cominciando dal superamento del Titolo V». C’è scritto anche questo nella lettera di Renzi a Conte. La legge elettorale è il convitato di pietra di questa verifica. Se ne parla ufficialmente poco, perché Recovery, Mes e servizi segreti sono più sotto gli occhi. Ma è proprio su come – e adesso anche su se – cambiare il sistema di voto che si consumano gli sforzi tattici maggiori. Renzi ha fatto una capriola perché all’origine del governo Conte 2, di cui è stato il primo sponsor, c’è l’accordo per una nuova legge elettorale proporzionale, correttivo al taglio dei parlamentari. All’inizio di quest’anno è stata proprio Italia viva a far deviare la maggioranza dalla strada del sistema spagnolo, più maggioritario, verso la proposta Brescia che è attualmente il testo base. «Italia viva ha un giudizio positivo sull’ipotesi di una legge elettorale proporzionale con soglia nazionale al 5%» era la linea del partito quando ancora la riforma sembrava alle viste, prima della pandemia.

Adesso Renzi rimanda alle calende greche della riforma del Titolo V (non basterebbe la legislatura), sovente accoppiandoci un progetto di modifica della forma di governo (sfiducia costruttiva, riforma del bicameralismo). Il Pd non nega queste necessità, anzi i suoi capigruppo hanno presentato un testo di riforma di sistema, ma la responsabile per le riforme Pinotti ha sinceramente ammesso che si tratta più che altro, visti i tempi, di tracciare una linea di direzione per altri tempi e altre legislature.

Invece Renzi, con la complicità dei 5 Stelle ha accusato ieri il vicesegretario Pd Orlando, tiene tutto bloccato. Tiene cioè in piedi la legge Rosato (cosiddetta «Rosatellum») approvata proprio dal suo Pd come rimedio alla mancata riforma costituzionale bocciata dagli elettori nel 2016. Adesso questa legge disegnata su misura di un Pd che non c’è più pare fatta apposta per il centrodestra. Anche perché nel frattempo la riforma costituzionale l’hanno fatta i 5 Stelle con l’acquiescenza del Pd e la riduzione dei parlamentari ne amplifica gli effetti maggioritari.

Cosa succederebbe se si andasse a votare con la vecchia legge – che con il via libera ai nuovi collegi (oggi in Consiglio dei ministri) è di nuovo pronta all’uso – lo ha calcolato Federico Fornaro, capogruppo di Leu alla camera e grande esperto di sistemi elettorali (base la supermedia Youtrend). L’ipotesi di partenza è che in caso di crisi le forze della coalizione si presentino alle urne divise, con alleanza ridotta Pd-sinistre e sia 5S che Iv per conto loro. Il risultato sarebbe catastrofico: Salvini e compagnia conquisterebbero 257 seggi alla camera (127 uninominali) e 127 al senato (60 uninominali). Per Azione e Iv solo uno spazio di tribuna (8 seggi alla camera, 3 al senato), la miseria di 40 e 20 seggi per i grillini. Il centrodestra avrebbe a portata di mano la maggioranza dei due terzi sia nelle camere (per riforme costituzionali senza referendum) che tra i grandi elettori del presidente della Repubblica, potendo contare anche su 34 delegati regionali.