Da L’altra Europa ci si aspetta la proposta di un nuovo e rinnovato contratto sociale europeo, ben al di là degli sforzi di democratizzazione delle istituzioni europee degli ultimi anni. Riforme che, se da una parte hanno avuto l’obiettivo di ridurre il deficit democratico della rappresentanza, dall’altra non hanno colmato la distanza tra comunità ed apparati.

Manca ancora l’intreccio di una pluralità di dimensioni della democrazia, si è ancora lontani da un “diritto costituzionale europeo” e soprattutto il tanto auspicato principio di omogeneità, ovvero che negli stati membri operi un sistema costituzionale omogeneo, tale da non contraddire i principi di libertà, di democrazia, di rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali o contrarie allo Stato di diritto (artt. 2 e 7 Tue) si è dimostrato non sufficiente a trasformare una democrazia formale in democrazia sostanziale.

Insomma il federalizing process europeo che passa attraverso un’omogeneizzazione delle legislazioni e dei principi costituzionali, a fondamento del patto tra Stati membri, assolve ad esigenze formali, soprattutto da quando i paesi dominanti all’interno dell’Unione europea hanno deciso di abbandonare il modello economico europeo fondato sul compromesso della Scuola di Friburgo ovvero keynesiani in casa e liberisti in Europa e da quando i contro-limiti “sociali” delle Costituzioni post seconda guerra mondiale hanno ceduto di fronte a mercato e privatizzazioni.

Così come non tranquillizza l’art. 6 del Trattato che attribuisce alla Carta dei diritti fondamentali del 2000 lo stesso valore giuridico dei Trattati. Basti vedere come libertà di impresa (art. 16), diritto di proprietà (art. 17) e servizi di interesse economico generale (art. 36), appaiano regressivi rispetto agli artt. 41, 42 e 43 della Costituzione.

Basti pensare come è formulata la disposizione sul diritto di proprietà che riconduce tale diritto alle libertà civili ed al principio albertino dell’inviolabilità, propria dello Stato liberale non democratico ottocentesco. Con il bill of rights europeo scompare la funzione sociale della proprietà ed il principio di eguaglianza sostanziale; la libertà di impresa è liberata dai “limiti” del sociale.

Questo è lo scenario con il quale dovrà confrontarsi e confliggere L’Altra Europa con Tsipras ponendo inoltre, come ha fatto già nella sua fase di partenza, le basi per superare le condivisibili perplessità espresse anni fa da Dieter Grimm, il quale affermava che, in assenza di presupposti pre-giuridici, quali dei veri e nuovi soggetti politici su scala europea, piuttosto che meccaniche aggregazioni o la mancanza di una coscienza europea, fatta di lotte e condizioni materiali, sarebbe inimmaginabile un’unione sovranazionale e irrisolvibile dunque il problema della legittimazione democratica.

Tuttavia, sul piano giuridico-istituzionale, ci sono spazi per un’ azione politica realmente alternativa e lì dovrà inserirsi L’Altra Europa, anche smascherando ipocrisie, come si è fatto nella battaglia referendaria, durante la quale la Corte costituzionale veniva costretta ad affermare che il diritto europeo non imponeva la privatizzazione di tutti i servizi pubblici locali.

Dunque una lotta per un nuovo “contratto sociale europeo”, per affermare che il paradigma della coesione economico – sociale non possa essere costituito unicamente dal binomio libertà-solidarietà, e che mercato e concorrenza vadano subordinate al raggiungimento di fini sociali, per superare i limiti di una politica fondata sull’austerity.