Nei commenti sull’Orso d’oro a Touch Me Not di Adina Pintilie i toni violenti che criticano la scelta della giuria hanno qualcosa che va al di là del film. Non è infatti solo una questione di gusti, assolutamente legittima, un film può piacere o no, e questo della giovane regista rumena, premiata anche per l’opera prima, è un lavoro non neutro, che può provocare un certo disagio (vedi fastidio). Lo ammetto: anche io mentre guardavo il film l’ho provato, e non riguardava lo sguardo della regista che a sua volta si mette in gioco senza chiedere (piuttosto è il contrario) l’adesione compiaciuta allo spettatore.

 
Touch Me Not è un film sul corpo, di uomini e di donne, sulle costrizioni e sui possibili piaceri. Sono corpi imperfetti – non soltanto per la malattia – segnati da idiosincrasie rispetto a sé stessi, che accettano di partecipare alla messinscena mostrando qualcosa di intimo nella loro scrittura.

 
Le critiche però sono diventate una questione di gender sostenendo che il film è stato premiato perché è stato girato da una donna, una scelta obbligata per la giuria in accordo con il movimento #Me Too, e che questo è soltanto il preludio (vedi alla voce Oscar) di altri premi «politicamente corretti».
Al di là del fatto che «politicamente corretto» non è un aggettivo che sia accorda al film, è la prima volta che il dissenso rispetto a un riconoscimento utilizza tale argomento. Un film può piacere o meno, lo si può amare o detestare ma il genere di chi lo ha fatto non c’entra nulla.
Possibile che siamo ancora a questo punto? Che il film di una regista debba essere valutato non per quello che è – assumendo che alla giuria possa essere piaciuto – ma si devono trovare motivazioni altre per attaccarlo? (peraltro se così fosse avrebbero dovuto premiare anche il film al femminile di Laura Bispuri, Figlia mia). Tutto questo fa riflettere, e ci dice che forse, al di là delle sue strumentalizzazioni, un movimento come #Me Too continua a spalancare molte contraddizioni.