Nonostante il silenzio del governatore Draghi sull’argomento, all’interno della Bce è in atto da tempo una discussione molto franca sulla necessità di mettere a disposizione dei mercati nuova liquidità. Secondo almeno due membri del board, che si sono già espressi pubblicamente, vi potrebbe essere nei prossimi mesi la necessità di mettere in pratica una politica di Quantitative Easing (QE), ovvero quella politica monetaria non convenzionale basata sull’acquisto, per una predeterminata e annunciata quantità di denaro, di attivi finanziari dalle banche del sistema. Si tratterebbe in tal caso della terza ondata di liquidità illimitata o quasi dallo scoppio della crisi.

In principio fu la Federal Reserve americana ad intervenire per scongelare il mercato dei prestiti interbancari, bloccato dopo la crisi dei mutui subprime ed il fallimento di Lehmann Brothers. Tra 2008 ed oggi la banca centrale americana ha immesso circa tremila miliardi di dollari nel sistema, diventando una sorta di mastodontico hedge fund con partecipazioni in diversi settori e su tipologie che vanno dai titoli di Stato ai prodotti strutturati più opachi. La seconda fase ha visto la partecipazione attiva delle banche centrali di Svizzera, Giappone ed Inghilterra, che sulla falsariga della strategia USA hanno inondato i rispettivi mercati finanziari di una montagna di liquidità.

Sponsorizzate dalla stampa come un’equazione a somma positiva (più liquidità nel sistema uguale più prestiti a famiglie ed imprese e quindi più occupazione), le politiche di QE hanno invece determinato risultati ben diversi. Le grandi conglomerate finanziarie hanno preferito investire dove i rendimenti attesi erano maggiori, ovvero nei mercati finanziari interni ed in quelli dei paesi emergenti. In entrambi i casi si è quindi alimentata una crescita fittizia dei corsi azionari, con conseguente scollamento tra i risultati da record delle borse e l’andamento stagnante di salari ed occupazione. L’esempio più evidente proviene dagli Usa, dove nel 2013 l’indice Dow Jones ha più volte ritoccato i propri record storici di capitalizzazione a fronte di una diminuzione minima della disoccupazione ed un aumento della povertà relativa, che ha toccato il livello più alto dagli anni cinquanta.
Ora che la politica di acquisti della Fed inizia ad attenuarsi, potrebbe arrivare presto il turno della Banca Centrale Europea. Già in passato Mario Draghi aveva provato ad imitare, con effetti modesti, le politiche della Fed attraverso il complesso sistema dei rifinanziamenti a lungo termine (Ltro). Ed allora, perché perseverare? I maligni, tra cui il prestigioso settimanale Der Spiegel, sussurrano che vi siano alcuni grandi istituti tedeschi preoccupati di non superare l’esame degli stress test sulle banche europee. Insomma, se cambiasse la politica monetaria Ue sarebbe inutile farsi illusioni. Al contrario, si confermerebbe soltanto una tendenza di fondo dell’attuale fase del capitalismo, dove alle big corporations è garantito un aiuto illimitato, mentre ai cittadini viene sempre e comunque richiesto di tirare la cinghia.