«La vera incognita, per capire se prevarrà il malcontento e la crisi sociale o, ancora una volta, una presa di coscienza del popolo tunisino in questo lento processo di cambiamento democratico, sarà l’affluenza», dice al manifesto Habib Kazdaghli, preside della Facoltà di Studi Umanistici di Manouba (Tunisi), simbolo della resistenza alla pressioni salafite nella società tunisina.

Come procede la transizione democratica tunisina?

Sembra più difficile e lunga del previsto, ma va avanti. Le elezioni del 2014 non hanno dato una maggioranza chiara, anche se hanno riequilibrato il panorama politico che aveva portato alla vittoria gli islamisti all’Assemblea Costituente. Ennahdha è stato battuto nel 2014, ma resta la seconda forza politica del paese: è stato utile coinvolgere il partito islamista, in termini di partecipazione democratica nel patto di Cartagine e nel successivo governo di unità nazionale anche per uscire dal rischio di tensioni e scontri precedenti. I problemi ereditati dal regime di Ben Ali prima del 2011, oltre al periodo della Troika, 2011-2014, erano e restano tuttora enormi, mentre tardano ad arrivare risultati convincenti. Il turismo resiste e resta fondamentale per la nostra economia. Anche se non ci sono investimenti, la disoccupazione è a oltre il 15% e quella giovanile supera il 30%, mentre l’inflazione al 7% e gli accordi con il Fondo monetario hanno provocato un vertiginoso aumento dei prezzi e scontento tra la popolazione, principale motore e sostegno al progetto democratico della rivoluzione.

Ennahdha resta l’unico partito a presentarsi in tutte le circoscrizioni, quanto rimane forte la sua influenza e diffusione anche attraverso le moschee?

Si, Ennahdha è presente in tutte le 350 circoscrizioni come lo stesso Nidaa Tounes anche se il partito del presidente appare più debole a causa delle defezioni di numerosi suoi esponenti di spicco. La terza forza politica, il Fronte popolare, ad esempio, è presente in sole 140 circoscrizioni. La sfida reale è vedere chi sarà la prima forza politica dopo le elezioni del 6 maggio e, soprattutto, a chi daranno il loro sostegno le liste indipendenti (circa 800) nei consigli comunali eletti.

Ennahdha è veramente uscito dal periodo di clientelismo e deriva autoritaria per presentarsi come un partito islamista democratico?

Questo è quello che vuol far credere dopo il suo ultimo congresso. Proprio per questo motivo prova a mostrarsi «moderno» presentando nelle sue liste un cittadino ebreo e donne non velate in abiti occidentali o non dichiarandosi ostile nei confronti degli omosessuali. Ma questa ostentazione del suo cambiamento dimostra che c’è la necessità di rassicurare gran parte dell’opinione pubblica che poco si fida di loro. Bisogna dire che, però, hanno cambiato strategia: dopo la rivoluzione volevano «islamizzare i tunisini», ora affermano di far parte del popolo tunisino. Fin quando si dichiarano parte della democrazia tunisina, delle sue istituzioni e del popolo, negando qualsiasi «simpatia» nei confronti dell’islam radicale e salafita e accettando di convivere con tutte le altre anime politiche, non c’è ragione di escluderli da elezioni democratiche. La Tunisia appartiene a tutte quelle forze che accettano le regole della democrazia e che, soprattutto, accettano di coesistere insieme e di far crescere uno stato moderno, pacifico, tollerante e progressista.

La sinistra quanto è riuscita a cavalcare le proteste nel paese in questi mesi e quanto è radicata sul territorio?

La sinistra tunisina è ben radicata nella società, i suoi membri hanno contribuito alle lotte per la giustizia sociale, per la democrazia e per un’idea progressista del paese. Purtroppo soffre, come un po’ dappertutto, del suo frazionamento e delle divisioni. Una gran parte si è riunita all’interno del Fronte popolare con un’azione di opposizione alle politiche di austerità del governo nei confronti della popolazione, anche se concretamente non hanno portato grandi proposte di cambiamento. C’è un’altra parte della sinistra (Al Massar, ndr), poco rappresentata in parlamento che, pur sposando le idee di giustizia sociale e progresso, si è dimostrata più pragmatica in questo momento di transizione. Quello che comunque rimane fondamentale è che le forze di sinistra continuino a cercare una visione comune di lotta politica superando questo ciclo storico di divisione su basi ideologiche.

Queste elezioni possono essere utili in previsione delle legislative del 2019?

Anche se la maggior parte degli attori politici insiste sul carattere locale di queste elezioni, che riguardano la gestione delle diverse municipalità, l’attenzione andrà verso le legislative e le presidenziali del 2019 già dal 7 maggio. Bisognerà vedere chi sarà il vero vincitore, tra i due maggiori partiti, anche se la grande incognita è legata alle liste indipendenti e su chi appoggeranno. Se la forte presenza di queste liste esprime il malessere nei confronti dei partiti esistenti, come reagiranno dopo che i risultati consacreranno un partito conservatore (Ennahdha) o uno liberale (Nidaa Tounes)? Indubbiamente i risultati delle elezioni saranno fondamentali per la nascita delle nuove alleanze politiche per l’anno prossimo, anche sul fronte della sinistra tunisina.

 

Habib Kazdaghli, preside della Facoltà di Studi Umanistici di Manouba, a Tunisi