Che la musica cambi in questo Paese sembra difficile. Eppure siamo fondati sul lavoro e gli ipotetici diritti dell’uomo. La giornata dedicata ai lavoratori è diventata quella in cui il pensiero va a chi il lavoro non ce l’ha: alle donne, ai ragazzi che fanno parte di quel 38% di giovani disoccupati italiani che innalzano la media europea del 22%. Ma anche i giorni di festa e di concerti rischiano di perdere il valore semantico, restando vuoti momenti di aggregazione se non supportati dall’impegno politico della musica e dalla libertà di comunicarlo da un palco. Senza considerare che, nella pletora dei diritti da rivendicare e visti i ricavi dello streaming, la musica è (anche) lavoro.

01maggiolennonKOKOKOKO

 

Sono tante le canzoni che sono diventate simbolo della voglia di riscatto o dell’alienazione che alcuni lavori e la società producono. Una delle più coverizzate è sicuramente Working Class Hero di John Lennon, brano del 1970 con cui si sono cimentati tra gli altri Noir Désir, Green Day e Ozzy Osbourne. Lennon sperava diventasse un inno dei lavoratori nel contesto dell’America classista e repressiva. Il brano descrive la logica individualista del liberalismo americano che si potrebbe sintetizzare nella strofa: «C’è spazio in cima, ti dicono, ma prima impara a sorridere mentre uccidi». La canzone, ovviamente, venne censurata e bandita dalle radio per la criminosa parola fuck.

Pay Me My Money Down era invece un canto degli afroamericani che venivano sfruttati nei porti della Georgia, lavoratori che chiedevano di essere pagati ricevendo in cambio sprangate dal capitano. Bruce Springsteen ne fece un singolo per anticipare l’album We Shall Overcome: The Seeger Sessions. Il testo viene fatto risalire a fine ‘800 e il rock è solo una delle tante forme con cui lo spirito di quei lavoratori si è trasfigurato. Una ventina d’anni prima, in Factory (1978), sempre il Boss aveva raccontato suo padre che lavorava in fabbrica, descrivendola come il luogo che gli permetteva di sopravvivere ma in cambio della salute e della vita. La ripetitività dei gesti dell’operaio è la metafora della staticità sociale di cui un lavoratore è vittima: «Gli uomini escono dai cancelli con la morte negli occhi». Con un blues Bob Dylan ha raccontato lo sfruttamento delle fattorie in Maggie’s Farm: «È una vergogna il modo in cui lei mi fa lustrare il pavimento. Non lavorerò più alla fattoria di Maggie», ma che in molti hanno attribuito alla sua polemica con il movimento folk, specialmente dopo l’esecuzione in versione rock che fece al Newport folk festival. Sia come sia, il testo è una limpida accusa al razzismo e alla violenza del padrone. «Odio l’esercito e odio le R.A.F. Non voglio combattere nel caldo tropicale. Odio le regole del servizio civile. E non aprirò lettere esplosive al posto vostro», è una strofa di Caarer Opportunities dei Clash, band che denunciò la mancanza di lavoro nell’Inghilterra degli anni settanta. Per i Clash il punk non era mai stato solo una partita fra Libertà vs Omologazione ma uno strumento politico schierato dal lato dei movimenti rivoluzionari (basti ricordare l’album Sandinista!), con i suoi eccessi, come quando Joe Strummer si presentò sul palco del Rock Against the Racism con la t-shirt Brigade Rosse. Ma includiamo anche Van Morrison con Cleaning Windows o i Ramones con It’s Not My Place (In The 9 To 5 World). Per restare in tema di star, anche chi le mani non se l’è sporcate nemmeno per caso, come i poco impegnati Rolling Stones che hanno omaggiato con Salt of The Earth i lavoratori: «Un brindisi per la gente che si ammazza di lavoro. Un brindisi per i poveri fin dalla nascita».

Sul versante italiano il cantautorato ha dato tantissimo così come i rocker. I Gang hanno fatto delle battaglie e delle canzoni rivoluzionarie un marchio, il loro Kowalski (dalla canzone omonima) è un personaggio inventato e idealista che si scontra alle porte di Mirafiori con il sindacato. Memorabile fu la seconda edizione del Primo Maggio a Roma nel ’91 dove, invitati, fecero un proclama in favore dello sciopero generale per poi cantare Socialdemocrazia (con il ritornello «Terra di eroi e santi senza peccato, di mafia P2 e stragi di stato, il futuro l’hanno già consegnato»), sfuggendo alla scaletta concordata con i funzionari Rai che, al lato del palco, tentarono di fermare l’esibizione. Nei 99 Posse ogni album è zeppo di riferimenti al loro attivismo, due brani in particolare richiamano le condizioni del lavoro: La Paranza di San Precario o Salario Garantito. Aggiungiamo Tammuriata Del Lavoro Nero con i Bisca. Paranoia e Potere è il secondo disco dei Punkreas, gruppo punk rock sempre vicino agli operai: «Fai fruttare i tuoi talenti non creare malcontenti. E non scioperare, devi lavorare. E non scioperare se vuoi lavorare!» si dice su Venduto (3×2).

Dalle lotte si passa alla disillusione e alla crisi dell’individuo con Io Sto Bene dei CCCP, Lavorare Stanca de Il Teatro degli Orrori e Primo Maggio dei Marlene Kuntz. Insomma, il Primo Maggio potrebbe essere rock, volendo.