Una delle cifre caratteristiche della crisi scatenata dal Covid 19 è il rafforzamento del ruolo che svolge la politica tecnocratica all’interno della società. Tale politica consiste nell’elaborare e implementare decisioni attraverso una dialettica tra membri dell’esecutivo ed esperti. Nonché nell’utilizzo massiccio delle tecnologie digitali per governare le società, controllare e monitorare i comportamenti delle persone. Una politica post-democratica – perché basata sulla progressiva marginalizzazione del ruolo decisionale delle assemblee elettive e della rappresentanza – già fortemente presente nel mondo globale pre-pandemia. Le risposte messe in campo dalle autorità politiche per farvi fronte hanno rafforzato questa tendenza, facendo dei comitati di esperti una costante di ogni processo decisionale. Un elemento che, probabilmente, diventerà sempre più strutturale oltre l’ambito dell’economia nel quale la politica tecnocratica ha messo radici forti.

ACCANTO ALLA NECESSITÀ di appoggiarsi su un sapere esperto per legittimare le proprie decisioni, stabilendo un contenuto forte che non deve passare per le complesse mediazioni parlamentari, il ricorso massiccio alla tecnica e agli esperti si appoggia a sua volta, a livello latente, alla ricerca di una nuova «aura sacrale» per la politica. Un tema al centro di un libro curato da Guglielmo Chiodi e Maria Immacolata Macioti intitolato Teocrazia e tecnocrazia (Guida, pp. 180, euro 15).

Limitandosi all’Occidente, nelle società tradizionali e pre-moderne, sia quelle feudali che quelle di Ancien Régime precedenti alla Rivoluzione francese, il potere si appoggiava e portava con sé un carisma sacro. Il sapere rivelato così come il clero che lo amministrava era la base per il mistero del potere, della legittimazione, della sovranità. E del diritto superiore a governare e prevalere sugli uomini. L’ascesa del mondo moderno ha formalmente rotto questo circuito tra potere e sapere sacrale ma non ha diminuito, a dispetto dei proclami filosofici contrari, la necessità per la sopravvivenza del potere e per accrescerne la forza, di ricorrere al mistero e al senso di una potenza ineffabile e superiore. In un primo momento questa esigenza è stata assolta dalle ideologie politiche.

TRAMONTATE queste nuove «religioni secolari», nel mondo contemporaneo l’aura di sacralità, superiorità e indiscutibilità del potere è ricercata nella paradossale sacralizzazione di ciò che si proclama come più distante dal sacro: scienza e tecnica. Teocrazia e tecnocrazia non sono così i due poli contrapposti del sociale e del politico. Ma due elementi che si compenetrano e cercano tra loro, subendo molteplici metamorfosi.

Se il libro curato da Chiodi e Macioti aiuta a cogliere meglio questo elemento strutturale del mondo globale, l’evolversi stesso della crisi legata al Covid 19, che pur lo ha posto di nuovo in primo piano, ci fa intravedere la sua possibile crisi: scienza e tecnologia partono come base indiscutibile delle decisioni del potere e della sua riconfigurazione ma, mano a mano che avanziamo nella crisi, si mostrano per quello che sono. Incerte, parziali, frutto di accese discussioni e di pareri contrastanti. Di divismo contrapposto al duro lavoro quotidiano.

Scienza e tecnologia ci sono necessarie in questa fase per orientarci nell’incertezza con quel minimo di luce che possono fornire. Così come, presumibilmente, per cercare di contrastare la catastrofe ecologica, anche recuperando il senso progressista con il quale, durante la fase del keynesismo-fordismo, esse sono state impiegate per il governo della società. Tuttavia, è del dogmatismo scientista e tecnologico che dobbiamo fare a meno, mostrando che il re è nudo, attraverso un rapporto più maturo e consapevole con il sapere esperto.