I partiti della maggioranza cercheranno dalla prossima settimana un compromesso per cambiare, solo un po’, la legge elettorale. Ma il Porcellum ha già dimostrato di essere assai resistente. Per il suo potere di seduzione sulle forze politiche, ma anche per il suo essere un rovello giuridico che nemmeno il rinvio alla Consulta deciso dalla Cassazione garantisce di poter risolvere.

Il giudizio «incidentale», quello cioè sulla costituzionalità della legge sollevato nel corso di un altro processo, è l’unica strada che si può tentare, dal momento che già in tre occasioni la Consulta si è rifiutata di ammettere i referendum soppressivi del Porcellum con l’argomento che il paese non può restare nemmeno un giorno senza legge elettorale. La via diretta, però, è fin qui stata preclusa perché far entrare la legge elettorale in un processo ordinario – con l’obiettivo di rinviarla alla Consulta – pareva impossibile. L’avvocato Aldo Bozzi c’è riuscito, dopo quattro tentativi, citando in giudizio per la lesione del suo diritto al voto libero e uguale il presidente del Consiglio (un po’ come negli Usa, dunque in un sistema assai diverso dal nostro, si fa causa all’Attorney general). La Cassazione gli ha dato ragione, inaugurando così una strada per portare davanti ai giudici costituzionali leggi importanti come la legge elettorale, che tutelano diritti fondamentali, e che altrimenti non possono essere sottoposte al vaglio di costituzionalità. Accetteranno i giudici costituzionali questa soluzione, o decideranno di filtrarla immediatamente dichiarandola non ammissibile secondo l’orientamento fin qui prevalente?

La Cassazione di venerdì scorso può segnare un punto di svolta nella giurisprudenza, aprendo la strada a qualcosa che assomiglia molto al ricorso diretto dei cittadini alla Consulta (escluso nel nostro ordinamento). Il professore emerito della Sapienza di Roma Augusto Cerri è probabilmente l’«autorevole dottrina» citata a sostegno dall’estensore dell’ordinanza, una linea di pensiero che si può far risalire a Pietro Calamandrei che considerava proponibile un’azione di accertamento che avesse come unico oggetto l’incostituzionalità di una legge. Cerri risponde alle obiezioni di chi vede in questo un uso strumentale, fittizio, del processo. «Bisogna onestamente riconoscere che il processo può essere strumentale. Accade di continuo che le liti non siano reali, magari perché le parti hanno interesse a veder riconosciuto un accordo in sentenza, piuttosto che in un contratto. Eppure resta valido se non è in frode alla legge o ai creditori. L’esperienza della corte europea o della corte dei diritti dell’uomo – aggiunge – ci insegnano che si può agire contro la Repubblica italiana. In definitiva questi sono aspetti formali, il vero problema è che se non si accetta questa strada ci sono delle lesioni dei diritti – come quelle operate da una legge elettorale incostituzionale – che finiscono con l’essere inattaccabili».

Questa strada potrebbe però rifiutarla la Consulta, anche se paradossalmente ha già lasciato intendere che il Porcellum è a forte rischio di incostituzionalità. «La posizione restrittiva della Consulta sull’ammissibilità di questioni del genere – spiega però Cerri – è più teorica che pratica. Ad esempio ammette il giudizio nel caso di processi per il mancato riconoscimento della cittadinanza, dove formalmente chiamati in causa sono il prefetto o il ministro dell’interno. Anche lì chi propone la causa non cerca una condanna, ma un accertamento costitutivo».

Cerri si augura che la Consulta ammetta la questione giudicata non infondata dalla Cassazione, vedendo gli spazi per un giudizio di incostituzionalità che non destabilizzi la funzione complessiva della legge elettorale. Letta l’ordinanza, il professore intuisce però il rischio che i giudici costituzionali possano rifiutare l’intervento che viene loro richiesto, perché eccessivo. È troppo chiedere una sentenza «additiva» che individui la soglia di voti necessari per far scattare il premio di maggioranza, quello è compito delle camere. Una richiesta di intervento non «a rime obbligate», secondo l’espressione di Crisafulli, può preludere a una «non ammissibilità» meno radicale, per il modo in cui la questione è stata sollevata. Resterebbe comunque stabilito, a futura memoria, che sollevarla era lecito. In ogni caso una piccola consolazione per chi sta cercando la strada di una più efficace tutela dei diritti fondamentali.