Fa un po’ tristezza, e pena, assistere alle esternazioni di Alessia Rotta, ultimissima responsabile del settore comunicazione del Pd, un partito che aveva pure nel suo dna, prima che glielo modificassero, una storia gloriosa di attenzione al comparto dei media targata Veltroni, Zavoli, Giulietti, Gentiloni, Vita…
Parliamo di un ceto politico ed intellettuale che mai si sarebbe permesso di criticare un telegiornale pubblico per l’omissione della notizia di un taglio di nastro del premier in carica, si chiamasse Prodi, D’Alema, o Amato. Un ceto politico ed intellettuale, pur tra mille contraddizioni, il cui impegno era comunque quello di liberare la Rai dai partiti (vedi le riforme abbozzate nei due governi Prodi e in quello D’Alema) e il sistema televisivo da un duopolio opprimente.

La critica al Tg3 della piddina Rotta per non aver coperto la «notizia» dell’ennesimo taglio di nastro di Renzi (l’apertura di un viadotto sulla Salerno-Reggio) è sbagliata nel merito e nel metodo. Nel merito perché si tratta di una non notizia, e bene ha fatto il Tg3 a non darle gran peso. Chi scrive percorre dal 1998, per motivi familiari, sei-sette volte l’anno la Salerno-Reggio, che da qualche tempo (dal 2012 per la verità, dai tempi del ministro Passera) ha subito una forte accelerazione nei lavori di ammodernamento. Da allora i tanti cantieri varati hanno permesso un salto in avanti nella sistemazione dell’autostrada e decine sono stati i viadotti e i tratti aperti, senza che nessuno pensasse di andare sul posto ogni volta per mettere il cappello e fare propaganda. Vedremo in ogni caso a dicembre i risultati del pur importante lavoro svolto durante i due anni di Renzi, ma la Salerno-Reggio è ancora lontana dall’essere completata, come va chiacchierando il capo del governo: tratti interi, oltre 50 km, tra i più pericolosi, tra Cosenza e Altilia, tra Laino e Sibari, tra Pizzo e S.Onofrio non sono stati nemmeno appaltati e resteranno come sono (due corsie, senza emergenza).
Ma Alessia Rotta sbaglia soprattutto nel metodo, perché non ci sembra che fosse il caso, da parte della responsabile comunicazione del principale partito italiano, di inviare un comunicato e aprire un fronte di contrapposizione su una vicenda così e con un telegiornale della rete pubblica. È il segno dell’immiserimento di un gruppo dirigente, della sua pochezza politico-culturale. Quel Tg3, ricordiamo, che ancora ai primi di maggio, secondo i dati dell’Agcom, e prima dell’esplosione delle polemiche sulla par condicio e le presenze tv del premier, garantiva il 21% del tempo di parola al presidente del consiglio e un altrettanto 21% al suo partito. Quando si dice l’ingratitudine.