In tanti avevamo sperato in una svolta di civiltà nelle politiche migratorie quando, nel settembre 2019, si erano insediati l’attuale governo italiano e la nuova Commissione dell’Unione europea. È trascorso poco più di un anno, segnato ancora da centinaia di morti in mare, da continue torture e atrocità in Libia, dall’uso ricattatorio dei migranti da parte del governo turco.

Eventi prodotti anche dall’ideologia e dalla pratica dell’Europa-fortezza, che erige recinzioni e muri, materiali e giuridici, per tenere lontane, a prezzo di migliaia di morti, persone che scappano da condizioni invivibili e aspirano ad una prospettiva di vita conforme ai diritti più elementari.

Un quadro della situazione di fatto sostanzialmente analoga a quella di un anno fa, nonostante la retorica del «nuovo umanesimo» prospettato da Giuseppe Conte e dello «stile di vita europeo» fondato, nelle parole di Ursula von der Leyen, su dignità umana, libertà, uguaglianza, diritti umani, solidarietà.

A livello politico normativo sono intervenute novità: la proposta della Commissione europea di nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo e il decreto-legge che modifica i decreti Salvini.

Il decreto-legge, oltre al tardivo recepimento dei rilievi di costituzionalità formulati dal presidente della Repubblica e dalla sentenza con cui la Consulta aveva dichiarato l’illegittimità di alcune parti dei decreti Salvini, ha modificato le norme sul sistema di accoglienza e ha ripristinato la protezione umanitaria. Ma tante altre parti non sono state toccate o sono state modificate in modo insoddisfacente. Il decreto rappresenta sicuramente un passo avanti, avendo sanato le più sconcertanti violazioni del diritto costituzionale e internazionale, oltre che del buon senso, ma non costituisce quella svolta di civiltà espressiva del proclamato nuovo umanesimo.

Speriamo che il parlamento integri e corregga il decreto, come da più parti è stato sollecitato.  Con più severità va valutata la proposta della Commissione europea, di cui si può apprezzare soltanto la parte iniziale, dove si ricorda la «migrazione come fenomeno costante nella storia dell’umanità» e si afferma che «se inserita in un sistema correttamente gestito, la migrazione può contribuire alla crescita, all’innovazione e al dinamismo della società».

Deludenti e negative sono invece le ulteriori 30 pagine, frutto di un mediocre compromesso al ribasso, con soluzioni inidonee a risolvere i gravi problemi posti dal Regolamento di Dublino e dagli interessi contrastanti dei diversi Stati membri dell’Unione.

Soprattutto permane la visione asfittica e irrealistica della migrazione come emergenza, mentre ci troviamo dinanzi a un fenomeno strutturale che non si può contrastare gridando all’invasione. Occorrono iniziative di politica economica, di politica ambientale, di sostegno allo sviluppo, di accordi di cooperazione e di migrazione con i paesi di quell’immenso continente che è l’Africa, che nei prossimi 50 anni avrà un raddoppio di popolazione, mentre la nostra vecchia Europa è destinata a perdere quasi 100 milioni di abitanti, con tutto quel che inevitabilmente consegue in termini di sostenibilità economica e sociale.

La migrazione non si può fermare né con il muro o con il mare né con i divieti né con i blocchi navali. La migrazione va governata. Compito della politica è proprio quella di governarla. È sempre più evidente che, a Roma come a Bruxelles, le istituzioni di governo non sono in grado di farcela senza una forte mobilitazione della società civile e dell’associazionismo democratico.

A tal fine, la Fondazione Basso, l’Asgi e Magistratura democratica e le tre Confederazioni sindacali Cgil, Cisl, Uil, hanno organizzato nelle settimane scorse una iniziativa per contribuire a sollecitare l’attivazione di energie intellettuali, politiche e sociali al fine di rilanciare la migrazione come questione strutturale e centrale non solo di dignità umana, di civiltà e di democrazia, ma anche di innovazione culturale e sociale e di sviluppo economico.

L’autore è presidente della Fondazione Basso