«Connect, only connect», «connettere, nient’altro che connettere»: ispirata dalle parole di Forster, questa potrebbe essere la reazione da opporre allo svuotamento di senso generato dai tempi che attraversiamo. L’impressione, troppo spesso, è che tutto sia slegato da tutto: le cose dalle cose, il passato dal presente così come il presente dal futuro, le persone dalle persone. È come se ogni frammento parlasse solo a sé stesso, e dunque come se il nostro stesso abitare il mondo risultasse a sua volta privato di un respiro più grande dentro cui inscriversi. La lotta contro la dispersione attraverso il recupero delle connessioni potrebbe essere il metodo: ed è la postura naturale che caratterizza da sempre il lavoro, a partire dai rispettivi campi d’azione, di Franco Marcoaldi e Tomaso Montanari (poeta e scrittore il primo, storico dell’arte il secondo), come conferma ora il libro che hanno appena pubblicato insieme per Einaudi, Il nostro volto. Cento ritratti italiani in immagini e versi (pp. 210, euro 18), in una linea di ideale continuità rispetto al loro precedente Cento luoghi di-versi. Un viaggio in Italia (uscito l’anno scorso da Treccani).

NEL NUOVO LIBRO la messa in relazione fra le cose è perfino più forte che nei Cento luoghi, e riguarda la forma non meno del contenuto. Marcoaldi e Montanari mescolano immagini e versi: su ogni pagina un’immagine e su quella accanto dei versi che l’accompagnano, o forse viceversa – su ogni pagina dei versi e su quella accanto un’immagine che li rappresenta (mai a fini didascalici, bensì per evocazione, per suggestione: gli accostamenti sono sempre sentimentali e quasi sensoriali invece che cerebrali). La mescolanza riguarda immagini e versi dei generi più disparati, dalle più disparate fonti. Quanto alle immagini, si potrebbe dire che non c’è forma del reale che non trovi espressione: foto d’autore e comuni, di persone note o ignote e di oggetti, di opere d’arte, di pagine di giornale, d’epoca e moderne, politiche, sociali, di costume. Foto tragiche, allegre, di vita e di morte, di abissi e di estasi. Quanto ai versi, l’apertura è altrettanto sconfinata verso ogni registro e libera da qualunque preclusione: da Marziale a Boccaccio, a Shakespeare, Valéry, Mandel’štam, Caproni, Raboni, Valduga; da Lorenzo Da Ponte alla Locomotiva di Guccini; dal comico all’ironico, dal serio al faceto, al drammatico, al tragico, al lirico.

IL DESIDERIO DEGLI AUTORI è di delineare il volto degli italiani, di offrire «la percezione di quella alternanza di alto e basso, di durevole e di effimero, di tragico e di giocoso, di disumano e di umanissimo in cui si impasta il volto degli italiani di ieri e di oggi»: e viene da pensare a quel racconto di Borges, nel quale il protagonista si ripropone di disegnare il mondo e si rende conto, alla fine, di aver ritratto sé stesso. Il nostro volto sembra inverare il principio secondo cui la forma, sì, può corrispondere al contenuto: e nel riflesso di noi che ci restituisce è difficile non riconoscerci per tutto ciò che siamo.