Non è poi così sorprendente che l’arte contemporanea sudamericana, con la sua imprescindibile vocazione ideologica, sia sempre stata abbastanza sottorappresentata nelle grandi gallerie anglosassoni. E Londra non è un’eccezione: il prodigioso sviluppo di musei e gallerie innescato dalla diade Serota-Saatchi alla fine dei Novanta poggiava in buona parte sul clima economico e culturale di quegli anni di vacche grasse, oltre che sul genio comunicativo e organizzativo dei due personaggi: l’uno, Nicholas Serota, proveniente dalla Whitechapel Gallery dell’allora degradata East End e legionario del settore pubblico; l’altro, Charles Saatchi, dagli interni postmoderni della City foderati del denaro della deregulation finanziario-thatcheriana. Mettiamola così: non c’era lo Zeitgeist giusto e gli Yba erano più interessati ai propri letti sfatti e a sezionare vitelli.
Ma ora che il vento è cambiato, e le diseguaglianze sociali sono improvvisamente diventate oggetto di accorate discussioni e appassionate analisi, anche la fondazione Guggenheim ha deciso di dare spazio alle istanze sociali rivendicate dagli artisti provenienti dal continente sudamericano. E per questo suo primo sbarco nelle isole britanniche ha deciso di farlo a Peckham, zona di South London ad alta densità di migrazione africana e, appunto, sudamericana.
Under the Same Sun: Art from Latin America Today, che ha aperto lo scorso 10 giugno e sarà visitabile fino al 4 settembre, è un’imponente mostra a cura della Guggenheim Ubs Map Global Art Initiative, sinergia fra fondazione e banca che raggruppa e collega le produzioni artistiche di varie realtà globali, qui alla prima sortita nel Regno Unito. Proveniente dal Guggenheim New York, dove è stata allestita nel 2014 e curata da Pablo León de la Barra, la mostra occupa tutto il vasto spazio della South London Gallery ed è la più grande che la galleria abbia mai ospitato. Il numero degli artisti è più di quaranta, e si concentra prevalentemente sui nati dopo il 1968. Cinquanta opere per diciassette paesi e in varie tecniche: disegni, sculture, installazioni, performance, pittura e video e che intendono mostrare, nelle parole del curatore, le differenti anime dell’America Latina.
Il tema di fondo è naturalmente l’impatto dell’esperienza coloniale, le lotte di liberazione nazionale, gli squilibri sociali e la lotta contro regimi repressivi e dittatoriali di cui è punteggiata la storia moderna e contemporanea del continente. Tra loro, Mariana Castillo Deball, il cileno Alfredo Jaar, la cubana Tania Bruguera e il costaricano Federico Herrero. Proprio di Herrero è l’intervento «rigenerativo» che questa iniziativa vuole evidenziare. Ha collaborato con i residenti nella trasformazione di un piccolo parco giochi grazie a un murale sul selciato a colori sgargianti, al quale hanno partecipato anche i bambini della zona. Non è che una delle iniziative che mirano a coinvolgere il quartiere, un tempo famigerato per storie di violenza ed emarginazione e mai del tutto debellate.