Mentre l’intrigo internazionale intorno a Edward Snowden non vede fine, la controversia politica sul controllo da parte degli Stati Uniti dell’informazione delle cancellerie europee si è intrecciata con il negoziato di libero scambio tra Stati Uniti ed Unione Europea, partito lunedì scorso a Washington. Per i diplomatici delle due sponde dell’Atlantico sono previste tappe forzate, dopo che l’incontro bilaterale a margine del vertice del G8 dello scorso giugno aveva dato il via libera alla maratona commerciale. Una partita politica ed economica non da poco, che in molti leggono come l’ultima carta da giocare per i paesi occidentali al fine di riprendere il controllo della dinamica commerciale globale e provare a imporsi di nuovo sui paesi emergenti. Questo avverrebbe tramite la definizione di standard e regolamentazioni unici a vantaggio delle imprese del Nord, da imporre a livello globale e facendo leva sull’enorme area di libero scambio ora in costruzione.
Un piano che avrebbe costi significativi per alcuni settori industriali in entrambe i blocchi regionali che si sposano in questa crociata globale, ma i cui benefici secondo i liberalizzatori di Washington e Bruxelles dovrebbero servire proprio a ridurre i privilegi dei nuovi competitori.
Eppure il Datagate ha fatto emergere una nuova criticità che potrebbe complicare e non poco il negoziato. È molto probabile che molte delle informazioni carpite in passato dall’intelligence Usa riguardassero oltre alle questioni politiche anche quelle prettamente commerciali, in particolare in settori sensibili quali le telecomunicazioni, o altri comparti industriali dove la ricerca risulta determinante. In breve tutti quei settori dei servizi e della proprietà intellettuale su cui si gioca la partita del negoziato Usa-Ue e dove si generano i veri profitti e vantaggi competitivi delle imprese occidentali.
Le reazioni in Europa all’emergere dello scandalo sono state strumentalmente critiche nei confronti degli Usa. Alcuni governi si sono spinti al punto di collegare la questione direttamente al negoziato, almeno in termini politici, ma non fino a chiedere un rinvio dell’inizio delle trattative. Molti dei governi europei, fortemente in difficoltà sul piano economico in seguito alla crisi, nonché politico visto il loro peso relativo diminuito sulla scena internazionale negli ultimi anni, hanno bisogno di strumenti e nuove leve per guadagnare potere nel negoziato commerciale. A margine del vertice del G8 lo stesso Barack Obama è stato esplicito quando ha ammesso che l’Ue oggi in profonda recessione ha drammaticamente bisogno di nuove sponde commerciali per riprendersi. Un tempismo perfetto, quindi per la Casa Bianca, che può approfittare della debolezza europea e puntare a ottenere più di quanto avrebbe chiesto alcuni anni fa, specialmente su materie da sempre controverse per le opinioni pubbliche del Vecchio Continente. Si pensi agli Ogm o alla carne agli ormoni oppure al settore audiovisivo, su cui nel 1998 l’orgogliosa Francia aveva fatto fallire il negoziato in sede Ocse per un accordo multilaterale sugli investimenti, e su cui ha nuovamente strappato alla Commissione un’esenzione nel mandato negoziale accordato dai 28 paesi europei lo scorso giugno.
Proprio la strada delle eccezioni sembra quella che i paesi europei cercheranno di giocarsi in alcuni settori, magari facendo leva proprio sull’affaire Snowden e sul «furto di intelligence», su cui a un certo punto l’amministrazione Obama potrebbe cedere. Siamo solo all’inizio del negoziato e, come insegna la storia dei trattati commerciali, ogni finale di partita è ancora possibile.

* Re:Common