La vicenda della Mostra internazionale di Pesaro arriva «buon ultima», semmai ce ne fosse stato bisogno, a dimostrare come l’intromissione della politica, e delle sue istituzioni nella vita culturale crea sempre pasticci. Il caso del festival di Roma ne è la prova esemplare, dalla sua origine fino al milione di euro stanziato dal Ministero qualche giorno fa per una manifestazione che in nove anni non è riuscita a trovare una sua fisionomia. E che persino quando è stata affidata a un direttore come Marco Müller, che in materia di festival è tra i migliori, ha finito per incagliarsi nelle beghe politiche capitoline, e di un centrosinistra che invece di approfittare del professionista di livello (arrivato con la giunta Alemanno/Polverini) lo ha messo con le spalle al muro imponendo una «linea» (?) obbligata al ribasso.
Eccoci dunque a Pesaro, cittadina balneare e benestante, vecchia meta del turismo tedesco soppiantato negli anni dai ricchi russi. Qui 50 anni fa Lino Miccichè, critico e storico del cinema, fondava con un gruppo di teste molto diverse la Mostra internazionale del Nuovo cinema, riferimento per nouvelle vague di immaginari ribelli, sessantottini dinamitardi (c’è un magnifico speciale curato tra gli altri da Cristina Torelli per Rai Movie sulla storia del festival attraverso gli archivi Rai), sperimentatori, registi, studenti, critici in feroce lotta tra loro, visioni del cinema che erano visioni del mondo.

Nel tempo la Mostra ha cercato di tenere il passo, più spesso di anticipare il suo tempo, di riposizionarsi con altri e diversi strabismi dell’occhio nel fine secolo scorso, e in questo nuovo degli anni zeri in cui non solo il digitale ha modificato teste e sguardi cinefili, presenza nelle sale, circuito di distribuzione italiano e nel mondo. Ma un festival è un organismo complesso e delicato, e perciò la sua fabbricazione non si può improvvisare. Questo dovrebbero capire i politici, invece il nuovo sindaco Matteo Ricci, appena insediato ha cominciato ad agitarsi per decidere lui sul festival, essendone uno dei principali supporter economici. Ma invece di cercare un confronto ha nominato di colpo direttore della Mostra Luca Zingaretti, il quale con molta classe ha gentilmente declinato controproponendo di portare nella cittadina il festival, tutto di doc che già faceva a Cortona, Hai visto mai?, e che si chiamerà Pesaro doc fest. Film, scrittori, eventi «enogastronomici legati a Expo» ai primi di luglio, ovvero dopo l’altro festival.

E la Mostra? A quel punto si doveva salvarla, e per farlo l’impressione è che si siano accettati in blocco in desideri della politica – il silenzio sull’annuncio del sindaco della direzione Zingaretti che la Mostra ha tenuto non inviando neppure un comunicato è piuttosto singolare. Al grido : «Giovani e rinnovamento» lanciato dal neosindaco (renziano) è stato sacrificato il precedente direttore, Giovanni Spagnoletti, il comitato scientifico – tra gli altri Piero Spila, Adriano Aprà, Vito Zagarrio – e nominato un nuovo direttore, Pedro Armocida, quarantatrè anni, giornalista (Il Giornale, Film tv), già direttore organizzativo della Mostra, mentre Torri che di anni ne ha 83 dovrebbe rimanere presidente. Il sindaco raggiante ha detto che il futuro della Mostra saranno: «Giovani registi, giovani attori, nuove proposte».

Mah. Di per sé se fosse solo un cambio di direzione sarebbe del tutto normale, ma qui si tratta di altro. I modi, prima di tutto, con la corsa della Mostra a accettare i voleri della nuova amministrazione. Però: siamo sicuri che tutto questo rilancerà il festival? O non è solo, e senza avere nulla contro Armocida, l’ennesimo atto di una politica invadente, afflitta da una visione culturale di provincia (e vale per tutto il Paese) dove solo l’evento mediatico conta, e il resto, progettazione e quant’altro non esiste. Inoltre: possono davvero convivere due festival in una città piccola, o forse questo «passaggio di consegne» è solo il prologo a una fusione, quel modello che già Torino adottò, con risultati alterni, del direttore star e di un gruppo di lavoro? Restano i dubbi sul rilancio a fronte di una strategia che, almeno per ora, appare tutta decisa dalla politica. E questo, lo abbiamo visto, produce sempre poco.