Chiuso definitivamente» è la frase lapidaria che compare sul web come risultato della ricerca sul MNAO. Si è infatti parlato a lungo del fatidico spostamento all’Eur del Museo Nazionale d’arte Orientale – Giuseppe Tucci, dando spazio a molte notizie false: dalla chiusura definitiva del museo allo smembramento della collezione, ipotizzando una situazione catastrofica, da fine di mondo. Ci si è indignati, si è protestato ma senza veramente sapere a cosa si stesse andando incontro, rimanendo ignari del fatto che il museo, in fondo, fosse già morto e sepolto da anni. Infatti, esso ospitava in media solo una mostra l’anno; le iniziative, seppur interessanti, scarseggiavano; i visitatori erano quasi pari a zero, ma soprattutto risultava praticamente sconosciuto alla maggioranza dei cittadini romani. Eppure si tratta di un gioiello raro, una delle collezioni di arte orientale più importanti al mondo, con manufatti provenienti dall’Asia Occidentale all’Estremo Oriente, passando per Iran, Siria, Libano, Afghanistan, Pakistan, Tibet, Nepal, India, Cina fino al Giappone. La maggior parte delle opere sono state rinvenute durante gli scavi condotti dall’ISMEO in Afghanistan, nella valle dello Swat (Pakistan) e in altre regioni asiatiche, mentre molte altre sono frutto di donazioni private. Fiore all’occhiello del MNAO è la collezione d’arte Himalayana, donata nel 2005 da Francesca Bonardi, ultima moglie di Tucci, di cui fanno parte meravigliosi thangka (dipinti arrotolabili su stoffa), tsa tsa, oggetti rituali, gioielli, sculture etc.
Sessant’anni in via Merulana
Il MNAO, istituito nel 1957, è stato ospitato per sessant’anni al primo piano del palazzo nobiliare Brancaccio in via Merulana ed è stato chiuso definitivamente nell’ottobre 2017. La sede non è più ritenuta idonea a ospitare un museo «moderno» poiché presenta evidenti limiti strutturali, tipici di un palazzo storico vincolato. Tra questi: impossibilità di modificare gli spazi espositivi, superficie insufficiente per accogliere l’intera collezione, mancanza di montacarichi e difetti agli impianti elettrici che nel 2016 causarono un cortocircuito (inizio d’incendio e conseguente chiusura di alcune sale). In effetti, Palazzo Brancaccio doveva essere la sede provvisoria del MNAO e, a seguito di un travagliato e molto contestato progetto durato 4-5 anni, si è deciso per il suo spostamento all’Eur e per la sua inclusione all’interno del nuovo polo museale MuCiv. Fondato nel settembre 2016 il MuCiv dovrebbe accorpare quattro musei: il Pigorini, Arti e Tradizioni Popolari, il MNAO e il Museo Nazionale dell’Alto Medioevo, tutti situati nei palazzi delle Tradizioni e delle Scienze. Con la riforma Franceschini questo polo è stato inserito all’interno dei «musei autonomi» e tramite la Conferenza Stato-Regioni gli sono stati assegnati fondi Cipe pari a 10 milioni di euro. Questi fondi servirebbero a gestire lo spostamento del MNAO e ad acquisire ben 10.000 mq oltre all’attuale spazio disponibile, creando un complesso museale che ospiterà sia l’intera collezione del MNAO che le opere dell’ex IsIAO/IsMEO e alcuni manufatti asiatici appartenenti al Pigorini. L’intenzione dovrebbe essere quella di riunire diverse collezioni e dare vita a un polo culturale internazionale seguendo l’esempio del Mucem di Marsiglia.
Gandhara, la cenerentola
In attesa della riapertura del Museo Tucci, prevista per il 2019, il direttore Filippo Maria Gambari ha programmato una serie di mostre ed eventi sotto il nome di Aperti per lavori per permettere agli studiosi e agli interessati di avere comunque accesso alle opere del MNAO durante questo periodo di «chiusura». Peccato che tutto sia stato gestito in modo alquanto approssimativo e senza particolare attenzione ai dettagli: la grafica delle etichette, non sempre tradotte in inglese, è ogni volta diversa; le basi su cui poggiano eleganti marionette indonesiane sono in polistirolo bianco; i funerei delimitatori posti intorno ad alcune sculture ne contrastano la visione e, come se non bastasse, in molte bacheche mancano completamente le didascalie. Resta un mistero il collocamento delle opere provenienti dal Gandhara all’interno di una delle sale del Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, lontane dal resto della raccolta quasi fossero la cenerentola della collezione. Viene da pensare che, malgrado si tratti di un work in progress (come più volte specificato) non sia ammissibile tale negligenza.
Se questo è l’inizio come dare fiducia all’intera operazione? Inoltre, permane indubbiamente il rimpianto che l’Esquilino sia stato privato di una realtà culturale molto importante che lo caratterizzava come quartiere multietnico, dove fino a poco tempo fa si trovava anche la sede di Studi Orientali della Sapienza. La nuova collocazione all’Eur non sarà troppo lontana dalle mete turistiche e dalla vita dei romani stessi? Non ci resta che sperare che questo progetto porti nuova energia a un quartiere un po’ periferico, poco visitato dai turisti, e soprattutto una nuova consapevolezza di quanto siano uniche e ineguagliabili le opere del MNAO. Quando quest’ultimo non sarà più visto come un museo secondario rispetto agli altri musei di Roma, allora avremmo assistito finalmente a un’operazione riuscita e tesa verso una visione universale della cultura.