Si intitola Quibbles and Bits (che si potrebbe tradurre molto liberamente come «pezzi e bocconi») la newsletter che Drusilla Moorhouse, caporedattrice di «Buzzfeed News», piattaforma di informazione online statunitense, manda una volta al mese ai lettori desiderosi di sapere cosa succede dietro le quinte di una grande redazione. In uno degli ultimi invii Moorhouse ha stilato un elenco delle cose che maggiormente la mandano in bestia quando deve passare un testo destinato alla pubblicazione: gli sbagli nella punteggiatura, certi modi di dire ridondanti o generici – per esempio, l’abitudine di «trattare Internet come un monolite» che di volta in volta impazzisce o esulta: «un tweet o un post di Instagram che diventa virale non vuol dire che alla maggioranza delle persone o anche a una minoranza considerevole interessi davvero la nuova foto di una celebrity» – e perfino l’uso improprio dell’espressione «immacolata concezione» per indicare la verginità della Madonna (e non, come sarebbe corretto, la sua nascita senza peccato originale).

Auguriamo a Drusilla Moorhouse di non avventurarsi mai nella redazione di un giornale o di una casa editrice italiani, perché i rischi per la sua salute sarebbero seri. E problemi analoghi, a quanto pare, dovrebbe affrontare in Spagna: è recentissima infatti l’uscita, per l’editore madrileno Dykinson, di un saggio intitolato Detección y tratamiento de errores y erratas: un diagnóstico para el siglo XXI («Rilevare e gestire gli errori e i refusi: una diagnosi per il XXI secolo»), i cui curatori, Santiago Rodríguez-Rubio e Nuria Fernández, affiancati da una decina di autori, si interrogano sulla diffusione degli sbagli nei libri e negli articoli, cercando di comprenderne le cause, di valutarne gli effetti e perfino di azzardare qualche rimedio.

Secondo Javier Martín-Arroyo, che al libro e alla questione dedica un articolo su «El País», oggi «gli errori godono di un momento di splendore e inondano i testi scritti di ogni tipo», che si tratti di «libri premiati, autorevoli dizionari, titoli di giornali, comunicati promozionali». (E qui è impossibile resistere alla tentazione di citare un refuso individuato da Álvaro Martín, presidente della spagnola Unión de Correctores, sulla copertina di un catalogo di frigoriferi: «La perfecta conversación de los alimentos», vale a dire «La perfetta conversazione dei cibi», che ci fa sognare i dialoghi meravigliosi e purtroppo segreti tra il latte e i pomodori).

I motivi di questa epidemia del refuso sono facili da intuire: la velocità, in primo luogo, e poi il numero sempre minore dei redattori e dei correttori di bozze (categoria, quest’ultima, in via di estinzione) e soprattutto la diffusione delle pubblicazioni digitali che – scrive Martín-Arroyo – «ha banalizzato la gravità degli errori grazie all’idea che tutto si può correggere all’istante», introducendo una sorta di indulgenza generale verso i refusi. Indulgenza che si estende alla scuola: «L’istruzione scolastica è meno esigente di un tempo: oggi accade sempre più spesso che si superino esami presentando testi che contengono abbondanti errori di ortografia», commenta Álvaro Martín.

Del resto, tempo fa la Unión de Correctores ha chiesto ad alcuni blogger spagnoli molto seguiti quanta importanza davano all’editing dei loro testi, ricevendo risposte di questo tenore: «Ai miei follower interessa quello che dico, non come lo dico». C’è del vero, probabilmente, e tuttavia vale la pena di ascoltare l’allarme dello scrittore Ernesto Pérez Zúñiga, che – riferisce Martín-Arroyo – «invita a lottare con il coltello tra i denti contro la degradazione dei testi per ritrovare il tempo della riflessione in una società sempre più concentrata sul mito della praticità».